La Cgia di Mestre sfata il mito degli evasori annidati tra gli indipendenti, che mediamente versano ogni anno 4.700 euro di tasse contro i 4.000 di un dipendente e i 2.900 di un pensionato
L’Irpef è la principale imposta pagata dai contribuenti italiani allo Stato italiano. A versarla sono solo le persone fisiche (lavoratori dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi) e come risulta dalle dichiarazioni dei redditi del 2016 questi soggetti danno all’erario oltre 155 miliardi all’anno; l’incidenza di questo gettito sul totale delle entrate tributarie è pari al 33%.
Sebbene le partite Iva costituiscano solo l’11,4% del totale delle persone fisiche presenti in Italia (pari a poco più di 4.660.000 unità), ciascuno di essi (artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, liberi professionisti, etc.), versa mediamente poco più di 4.700 euro di Irpef all’anno, rispetto ai 4.000 euro che mediamente vengono prelevati dalla busta paga di un lavoratore dipendente e a poco più di 2.900 euro che, invece, il fisco incassa da ogni pensionato.
L’elaborazione è stata effettuata dall’Ufficio studi della Cgia sulla base dei dati emersi dalle dichiarazioni dei redditi del 2016 (ultimi disponibili).
«Abbiamo ritenuto necessario puntualizzare questa questione – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – per sconfessare una tesi sempre più diffusa secondo la quale le tasse in questo Paese vengono pagate principalmente da coloro che subiscono il prelievo alla fonte. Per carità, nessuno disconosce che tra il lavoro autonomo ci siano delle sacche di evasione o di sotto-dichiarazione che vanno assolutamente contrastate, ci mancherebbe. Questi dati, tuttavia, dimostrano inconfutabilmente che il popolo delle partite Iva dà un contributo significativo alle casse dell’erario ed è mediamente più tartassato degli altri contribuenti».
Ritornando ai numeri, in Italia i lavoratori dipendenti e i pensionati ammontano ad oltre 35.650.000 e costituiscono l’87,5% del totale dei contribuenti Irpef; essi subiscono un prelievo complessivo di 127 miliardi di euro all’anno (pari all’81,9% del gettito totale Irpef). Per contro, gli autonomi sono poco più di 4.660.000 lavoratori, pari all’11,4% del totale dei contribuenti Irpef. Al fisco versano quasi 22,5 miliardi di euro (pari al 14,5% del totale).
A livello territoriale la regione che presenta il più alto numero di lavoratori attivi è la Lombardia (oltre 3.785.000 dipendenti e poco più di 839.000 partite Iva) che ha quasi 10 milioni di abitanti. Subito sotto c’è il Lazio, per quanto concerne il numero di lavoratori dipendenti (poco più di 2 milioni) e il Veneto, per quanto riguarda i lavoratori autonomi (attorno a 463.300). Il Veneto è al terzo posto a livello nazionale anche per il numero di lavoratori dipendenti (1.892.768), mentre l’Emilia Romagna si posiziona sull’ultimo gradino del podio per via della presenza di lavoratori autonomi (425.790). Anche il maggior numero di pensionati si concentra in Lombardia (2.520.858). Al secondo posto il Lazio (1.297.744) e al terzo il Piemonte (1.256.035).
Sul fronte del gettito Irpef per regioni, infine, il territorio che ne versa di più è la Lombardia. In termini assoluti con 35,1 miliardi di euro (pari ad una Irpef media di 6.085 euro). Seguono il Lazio con 17,7 miliardi (Irpef media di 6.058 euro) e l’Emilia Romagna con 14,1 miliardi (Irpef media di 5.245 euro).
«Con un fisco così eccessivo – afferma il segretario generale della Cgia, Renato Mason – serve un’alleanza tra autonomi e lavoratori dipendenti volta alla riduzione del prelievo fiscale. Questa situazione penalizza entrambi e di conseguenza l’economia del Paese. Con meno tasse, le famiglie dei lavoratori dipendenti potrebbero avere più risorse per far decollare definitivamente i consumi interni e conseguentemente anche il fatturato di artigiani e piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente di domanda interna». Un primo passo nella giusta direzione potrebbe essere la deducibilità integrale di tutte le spese sostenute per la produzione del reddito, ad iniziare da quelle per la mobilità che in una società sempre più terziarizzata costituiscono una fetta consistente dei costi sostenuti, che ora si possono dedurre solo in minima parte, penalizzando la competitività delle attività.