“La Scortecata” al Toniolo di Mestre

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Emma Dante mette in scena una fiaba di Giambattista Basile

Di Giovanni Greto

Noto anche col titolo di “Pentamerone”, “Lo cunto de li cunti”, il  capolavoro di Giambattista Basile (Giugliano in Campania 1566 – 1632), pseudonimo anagrammatico di Gianalesio Abbattutis, uscito postumo tra il 1634 e il 1636, è una raccolta, la prima in Europa in ordine di tempo, di cinquanta fiabe popolari raccontate in cinque giornate.

Il suo successo si deve anche alla scelta di scrivere in un dialetto napoletano, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, che dà vita  a modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura.

“La scortecata” è “Lo trattenimiento decemo de la iornata primma” e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore, ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e, diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie.

In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili secondo la tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno. Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica, ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro misera vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: “e vissero felici e contenti…” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova.

La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista.

Il testo è stato arrangiato dalla regista Emma Dante, che dirige il Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale e Festival Spoleto 60. Attori protagonisti Carmine Maringola e Salvatore d’Onofrio. La prima rappresentazione avrà luogo al teatro Toniolo  di Mestre mercoledì alle ore 19.30. Replica il 1 marzo alle 21.00.