La ricerca coordinata dall’Univeristà di Trento cambia la preistoria umana

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Angelucci: abbiamo riscritto l’evoluzione dell’uomo dando al Neanderthal una maggiore capacità cognitiva»

unitn ricerca uomo neanderthal Diego Angelucci 1Uno studio pubblicato condotto dai ricercatori dell’Università di Trento cambia il modo di vedere la preistoria umana e smonta un pregiudizio sui nostri antenati considerati primitivi: i Neanderthal erano capaci di comportamento simbolico già 115.000 anni fa, prima dell’incontro con l’Homo Sapiens.

Gli oggetti e le manifestazioni artistiche del passato possono dirci molto di più di quanto immaginiamo. Oltre a stimolare emozioni sono veicolo di informazioni su chi le ha pensate e realizzate. Raccontano di una proprietà di espressione e della capacità di ragionare in modo simbolico: un aspetto caratterizzante della mente umana, un tratto distintivo che finora è sempre stato attribuito al solo Homo Sapiens, capace di prevalere sulla specie ritenuta meno “evoluta” dei Neanderthal. Uno studio pubblicato dalla rivista Science Advances getta invece una luce nuova e ribalta l’antico pregiudizio sull’arretratezza cognitiva dei Neanderthal, considerati da sempre primitivi e inferiori. Le capacità cognitive dei Neanderthal erano invece equivalenti alle nostre, già in tempi molto antecedenti alla diffusione degli umani anatomicamente moderni (Homo Sapiens) nel continente europeo. 

Il nuovo studio dimostra che i gruppi di Neanderthal della Penisola Iberica erano in grado di produrre oggetti con significato simbolico già 115.000 anni fa. L’articolo presenta i risultati delle ricerche archeologiche condotte in Spagna da un’équipe internazionale di cui fa parte il professor Diego Ercole Angelucci, del Dipartimento di lettere e filosofia dell’Università di Trento che per dieci anni come geoarcheologo ha scandagliato alcune grotte in Spagna alla ricerca di conferme. La scoperta è stata possibile grazie al ricorso a tecniche di datazione radiometrica, in particolare alle datazioni Uranio-Torio effettuate da Dirk Hoffmann (primo firmatario della ricerca, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Leipzig, Germania), che hanno confermato la tesi: i Neanderthal iberici erano in grado di produrre oggetti con significato simbolico. 

Per molto tempo si è pensato che solo l’Homo sapiens fosse dotato di pensiero simbolico, visto che è stato attestato l’utilizzo ornamentale di conchiglie marine perforate e di sostanze coloranti circa 70.000 anni fa in Africa e la produzione di arte mobile e di arte rupestre in Europa circa 40.000 anni fa. Il nuovo studio dimostra invece che anche per i Neanderthal iberici era così, e molto tempo prima. 

Già nel 2010 un articolo dello stesso team internazionale che comprendeva Diego Angelucci aveva evidenziato l’esistenza di reperti che avevano particolare valore, più che per la funzione pratica, per il significato simbolico che rivestivano per chi li aveva realizzati e utilizzati. Oggetti artistici di vario tipo, che avevano comportato l’utilizzo di pigmenti, ma che finora non era mai stati datati in modo preciso. Grazie all’impiego della tecnica di datazione Uranio-Torio i ricercatori hanno potuto per la prima volta fornire un’età più accurata a queste testimonianze del passato. unitn ricerca ercole angelucci uomo neanderthal conchiglie J.Zilhão

«La comparsa del pensiero simbolico è considerata una delle tappe fondamentali dell’evoluzione umana – spiega Angelucci -. Possiamo riconoscerla tra le tracce archeologiche grazie al rinvenimento di oggetti che fanno parte della cosiddetta cultura materiale, trasmessa di generazione in generazione, come i reperti degli scavi spagnoli o come le sepolture. Fino a qualche anno fa si faceva risalire il comportamento simbolico agli Homo sapiens, che vissero 70.000 anni fa in Africa e 40.000 anni fa in Europa. Oggi scriviamo un nuovo capitolo della preistoria: sappiamo che anche i Neanderthal possedevano capacità cognitive tali da produrre oggetti con significato simbolico, e che tutto questo è accaduto oltre 100.000 anni fa. Questo significa che le capacità cognitive “avanzate” non sono solo appannaggio di Homo sapiens, ma che sono più antiche e condivise anche dai Neanderthal, e che per stabilire quando sono comparse bisognerà andare indietro nel tempo, concentrando le ricerche sui primi Neanderthal, o addirittura sull’antenato comune da cui hanno avuto origine i Neanderthal e gli umani anatomicamente moderni». 

Inoltre, questo studio si collega anche alla convinzione, diffusa negli ultimi anni tra gli scienziati di diverse discipline, che i Neanderthal non si siano affatto del tutto estinti: «archeologia e antropologia confermano oggi ciò che la genetica ha di recente dimostrato – prosegue Angelucci -. E cioè che nel nostro Dna e nel nostro modo di pensare rimangono tracce della fusione di entrambe le specie, Homo sapiens e Neanderthal. Ora possiamo andare fieri anche di quel che resta in noi dei nostri intelligenti antenati Neanderthal».