Rigettato il ricorso del ribunale di Venezia sollecitato dall’esposto del consigliere regionale di “Siamo Veneto”, Antonio Guadagnini
La Corte Costituzionale chiude la querelle sul voto degli italiani all’estero, disinnescando una mina a pochi giorni dal voto e con le operazioni dei cittadini che vivono oltre confine ormai praticamente concluse: la questione è inammissibile, ma non per il fatto in sé, ma per un cavillo procedimentale.
La decisione della Consulta, giunta all’ultimo giorno utile, sbarra la strada alla possibilità di cestinare come nulli i voti dei residenti all’estero, una bacino potenziale di 4,3 milioni di elettori chiamati a esprimersi sulle schede movimentate per posta. La legge Tremaglia del 2001 è stata accompagnata, fin dall’inizio, da critiche e polemiche per l’ombra d’irregolarità.
A riaccendere un faro è stato un ricorso presentato al Tribunale di Venezia dal consigliere regionale e capogruppo di “Siamo Veneto, Antonio Guadagnini, e da un veneziano residente in Slovacchia, Pier Michele Cellini. Al centro i dubbi sulla capacità di garantire davvero che il voto per corrispondenza sia personale e segreto. «Noi in Italia votiamo dentro i seggi, mentre all’estero le schede viaggiano per posta: io stesso ne ho ricevute due che mi ha dato un amico e se volessi, potrei votare», dice Guadagnini, esibendo una mail ricevuta da una cittadina italiana residente a Buenos Aires che segnala come le schede stiano arrivando anche a cittadini “non italiani” o “ai morti”.
Un documento che Guadagnini, tramite il professor Mario Bertolissi, avvocato che di fronte alla Consulta ha rappresentato gli interessi dei ricorrenti, ha chiesto fosse acquisito agli atti. Ma l’istanza è stata respinta. «Noi discutiamo non di quello che astrattamente c’è scritto nella legge del 2001, ma della sua operatività, rispetto alla quale le notizie di questi giorni sono di cronaca nera», sottolinea Bertolissi. Ma nei meandri della legge, la Corte Costituzionale non è proprio entrata. Si è fermata prima, accogliendo un rilievo mosso anche dall’avvocato dello Stato, Vincenzo Nunziata, che ha difeso la legge per conto della Presidenza del Consiglio, ravvisando «un errore di percorso», il classico cavillo commesso dal Tribunale di Venezia nel sollevare la questione in occasione del referendum costituzionale del 2016; un contesto, quello referendario, che non ammette “zone franche” e non consente di sollevare questioni di costituzionalità sulle leggi elettorali.
Ai ricorrenti non rimane che attendere il completamento delle operazioni elettorali, raccogliendo quante più possibile prove di brogl