Secondo Crif Ratings, le PMI godono dell’attenzione finanziaria del mercato da un lato, grazie ai PIR, e del legislatore dall’altra, ma rimangono rimane un settore ad alto rischio specie per i piccoli risparmiatori
I Piani individuali di risparmio (in sigla “PIR”) hanno riscosso in 12 mesi un successo superiore alle aspettative: circa 10 miliardi di Euro di raccolta nel 2017 cifra destinata ad aumentare fino a 12.5 miliardi nel 2018 secondo le previsioni dei principali gestori.
«Il segreto del loro successo è da ricercarsi principalmente nel beneficio fiscale derivante dall’investimento, praticamente “tax free” se mantenuto almeno per cinque anni – sottolinea Francesca Fraulo, direttore di Crif Ratings -. L’incentivo fiscale, tuttavia, da solo non compensa i rischi del sottostante; ovvero il rendimento complessivo a scadenza pur beneficiando dell’esenzione fiscale è determinato dalle performances dei titoli presenti nel paniere, e la rischiosità dei titoli sottostanti non è un fattore da sottovalutare».
La novità più rilevante introdotta dai “PIR” è il requisito qualitativo dei titoli eleggibili: una percentuale almeno pari al 21% del totale deve essere investito in titoli azionari e/o obbligazionari di imprese che non ricadono nell’indice di borsa del listino principale (FTSE Mib), ovvero nel capitale di imprese di piccola e media dimensione (PMI). Negli ultimi 12 mesi la domanda per questo strumento è stata enorme, e la quota relativa ai titoli di PMI necessaria per raggiungere il requisito, ha riversato un significativo volume di acquisti sui titoli negoziati su AIM Italia che hanno subito un incremento di valore vicino al 20% dall’inizio del 2017. Il numero delle matricole giunte sul mercato è raddoppiato rispetto al 2016 e la pipeline per il 2018 suggerisce che anche questo primato sarà superato. «Occorre valutare quanto dell’incremento di valore sia slegato dall’effetto traino dei “PIR” – prosegue Fraulo – cosa che sarà più chiara usufruendo dei dati di bilancio del 2017».
Un altro elemento su cui riflettere è quanto sia sostenibile l’offerta rispetto alla domanda di raccolta prospettica senza fomentare l’effetto speculativo a discapito della qualità del portafoglio investito. Al momento, i mercati secondari sono al centro di grande attenzione, sia per i fini della applicazione della normativa “Mifid II”, sia per le proposte di modifica atte ad incentivare la quotazione di PMI, attualmente oggetto di consultazione da parte della Commissione Europea. «La peculiarità del mercato secondario per le PMI risiede nella semplificazione dei profili informativi e regolamentari diretti a garantire disciplina e trasparenza degli emittenti. Un regime – sottolinea Fraulo – di semplificazione che può facilmente diventare il paravento per celare le vulnerabilità più comuni a queste imprese, tutte riconducibili alla governance o all’assenza di questa, che da sola può innescare il deterioramento della performance del titolo e, pregiudicare il rendimento dell’investimento complessivo oltre che potenzialmente determinare casi di abusi di mercato. Dunque, accanto alle iniziative di incentivo e supporto alle PMI per incrementare la numerosità delle quotazioni (IPOs) che a livello europeo nel 2016 erano appena la metà di quelle registrate nel periodo pre-crisi, si suggerisce di attivare altrettante misure d’incentivo e supporto alla diffusione di “best practices” nel capitolo della “corporate governance” e della trasparenza, altrimenti si rischia sì di incrementare il bacino potenziale di investimento (vedi le soglie di eleggibilità dei “PIR”) ma, allo stesso tempo di innescare pericolose dinamiche di esposizione al rischio non coerenti con il profilo di propensione dell’investitore “retail” dello strumento “PIR”».
La conclusione, specie per un piccolo risparmiatore, è di non farsi abbagliare dalle promesse di rendimento e dalla convenienza fiscale, perché nulla e nessuno garantisce la certezza del rendimento. Come per tutti gli investimenti, anche per il “PIR” meglio limitarli ad una piccola quota del proprio portafoglio di risparmi.