Sei Cd per 315 minuti di musica per comprendere la tecnica del pianista in occasione del suo settantacinquesimo compleanno
di Giovanni Greto
“Trio Music” è un progetto discografico in tre volumi – ognuno composto da due CD – dedicato da “Parco della Musica Records” a Franco D’Andrea, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno e della consegna di un riconoscimento alla carriera «per il suo straordinario percorso artistico e il profondo legame umano e professionale che lo unisce alla Fondazione Musica per Roma».
Il primo volume, “Franco D’Andrea Electric Tree”, vede il leader affiancato da Luca Roccatagliati (in arte Dj Rocca) e da Andrea Ayassot ai sassofoni, quest’ultimo da lungo tempo nei suoi sestetti o quartetti in cui è presente la sezione ritmica. Sette tracce nel primo CD, tre nel secondo, ma quasi sempre una traccia si compone di due brani, per lo più scritti dal leader in solitudine o assieme ai due compagni. Uniche eccezioni: “Sigle Petal of a Rose” e “Half the fun” di Duke Ellington; “Naima” di John Coltrane.
Se poteva suscitare qualche perplessità la presenza accanto a D’Andrea di un Dj, che di solito produce numerosi suoni elettronici e di disturbo, l’ascolto si rivela una piacevole sorpresa. Rocca infatti conferisce un tocco di colore alle idee del leader e ben si inserisce nei dialoghi fra il pianoforte e i sassofoni. Il risultato è un disco fresco, che non assomiglia a nessuna sperimentazione precedente nei casi di strumenti acustici che interagiscono con un Dj.
125 minuti in due CD sono il risultato di “Franco D’Andrea Piano Trio”, inciso per la prima volta dal pianista meranese con la sezione ritmica abituale del suo quartetto e sestetto, vale a dire Aldo Mella al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. La prima sensazione avvertita all’ascolto è che questo trio non abbia nulla da invidiare allo “Standards” di Keith Jarrett, a quello di Brad Mehldau o, andando indietro nel tempo, a quello mitico di Bill Evans (con Scott LaFaro e Paul Motian). Nove brani nel primo CD, dieci nel secondo, con alcuni titoli che si ripetono – “Cherries”, “Some more March” -, altri che riappariranno nel terzo volume. In “Afro Abstraction” si respira l’atmosfera dei dischi Blue Note di una volta. Qui Zeno De Rossi esegue un assolo con i mallets che fa pensare all’indimenticabile Elvin Jones. In “Anni Venti”, Aldo Mella, usando l’archetto, potrebbe rievocare Paul Chambers. Da segnalare che tutti i brani sono di D’Andrea o collettivi. C’è tanto swing, un free controllato, tempi velocissimi, medi e lenti. Tre musicisti affiatati, in giornata di grazia, abili tecnicamente, ma soprattutto che diffondono musicalità.
“Traditions today”, il terzo volume, che conclude il progetto, vede D’Andrea assieme a Mauro Ottolini al trombone e Daniele D’Agaro al clarinetto, lavorare sia su brani originali, sia su capolavori senza tempo. Appena parte la musica, ci s’immerge in una calda, avvolgente atmosfera, quando magnifici film in bianco e nero facevano ancora sognare. Nei quindici titoli in totale, tre dei quali sono “alternate takes”, appaiono tre Medley, per un viaggio che riporta indietro nel tempo. La prima inizia da “The Telecasters” di Duke Ellington e Billy Strayhorn, prosegue con “Afro Abstraction” di D’Andrea e si conclude con “I got Rhythm” dei fratelli Gershwin. Basterebbero questi quattordici minuti per decidere di acquistare il disco. Una lezione di storia del Jazz, ma soprattutto l’amore per la tradizione riproposta in tempi moderni, riuscendo a cogliere aspetti che erano sfuggiti in altre versioni di brani plurinterpretati, grazie ad un arrangiamento, ad una verve improvvisativa, ad una semplice, ma significativa, accentazione.
I musicisti dialogano a meraviglia. Il suono del trombone di Mauro Ottolini mette i brividi, sia libero, che modificato da una sordina, o con effetti wah-wah. Cito soltanto “Basin street blues”, che si apre con due minuti di trombone solo. Tagliente, puntuale, fantasioso come sempre, il clarinetto di Daniele D’Agaro si inserisce incisivamente nelle diverse trame sonore. Un altro brano interpretato con gusto, anche se sarebbero da elencare tutti, originali compresi, è “Muskrat Rumble” di Kid Ory, secondo una lettura che ha il pregio di eliminare qualsiasi sensazione di “dejà-vu”. Franco D’andrea continua a percuotere con eleganza i tasti bianchi e neri, traendo un suono paragonabile al sapore di un buon vino lasciato a maturare in botti di rovere o a quello inserito nel prezioso elenco dei vini da meditazione.