Padova. È stata la terza sezione civile della Suprema Corte, presieduta dal giudice Giacomo Travaglino, a respingere il ricorso dell’azienda padovana Azeta Service, riconoscendo il non obbligo del Comune di Padova ad eseguire i lavori necessari per la manutenzione e l’adeguamento della rete fognaria nella zona industriale.
Azeta Service Srl è difesa dagli avvocati Sergio e Jacopo Tognon dell’omonimo studio legale padovano, con l’avvocato romano Fabio Severini.
Il Comune Padova è assistito dagli avvocati interni Vincenzo Mizzoni, Marina Lotto, Paolo Bernardi con l’avvocato romano Andrea Ciannavei.
La vicenda risale all’estate del 2002 quando l’azienda Azeta, che durante un fortunale aveva subito l’allagamento del capannone, degli uffici e del piazzale della propria sede in zona industriale a Padova, aveva agito contro il Comune di Padova per chiedere il risarcimento del danno. Secondo Azeta l’allagamento era stato causato dall’insufficienza del sistema fognario pubblico e/o dalla carenza di manutenzione delle condotte e degli scarichi della zona industriale di Padova.
Nel 2006 era stato Tribunale di Padova a rigettare la domanda, condannando l’azienda al pagamento delle spese di lite. Decisione ribaltata dalla Corte di Appello di Venezia, che nel 2013 aveva stabilito un risarcimento a favore di Azeta di circa 20 mila euro di danni, ma avevo contestualmente respinto la richiesta di condanna del Comune di Padova ad eseguire i lavori necessari per la manutenzione e l’adeguamento della rete fognaria nella zona industriale. Contro quest’ultima parte della sentenza di secondo grado, Azeta ha proposto ricorso alla Suprema Corte che, con ordinanza pubblicata lo scorso 24 ottobre, ha rigettato il ricorso e condannato l’azienda padovana al pagamento delle spese di lite.
La Cassazione infatti, pur riconoscendo che “l’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere” ha statuito che la Corte di Appello aveva “rigettato la domanda di condanna ad un facere della P.A. sulla base un accertamento in fatto, evidenziando peraltro che nel caso all’esame si verte in tema di un’attività discrezionale della P.A.; e tale accertamento non è censurabile in questa sede.”
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