«Costringerci sui migranti non aiuta. Contro le quote, aiuti a casa loro»
L’Austria non solo non cede sui migranti ma soffia sul fuoco, anche a Natale, in barba agli appelli di papa Francesco e all’atteggiamento “politically correct” (e troppo indulgente) di Bruxelles che ha accolto il neo cancelliere austriaco alla guida di una coalizione di centro destra sottolineandone il “programma pro-europeo”.
Stop alle quote che non funzionano, aiuti a casa loro e, se necessario, anche con un intervento militare sono le proposte rilanciate dal premier Sebastian Kurz, a fronte delle quali Bruxelles continua a mantenere la sua posizione e a puntare alla riforma di Dublino entro giugno.
«Forzare gli stati membri ad accettare i rifugiati non aiuta l’Europa – ha dichiarato Kurz -. Se continuiamo su questa strada, divideremo solo ulteriormente l’Ue e gli stati membri dovranno decidere da soli se e quante persone prendere». Anche perché, ha messo le mani avanti il 31enne leader austriaco allineandosi con i paesi euroscettici del “Gruppo Visegrad”, «i migranti in strada per l’Europa non vogliono andare in Bulgaria o Ungheria, ma in Germania, Austria o Svezia».
Il messaggio austriaco a Bruxelles è chiaro: stop al sistema attuale di accoglienza, perché «la strada presa nel 2015 è sbagliata». I migranti devono essere aiutati a casa loro, anche con l’uso della forza: «se non è possibile, allora in aree sicure nel loro continente che l’Ue deve sostenere e forse anche organizzare e appoggiare militarmente».
La Commissione Ue ha rimbalzato le dichiarazioni di Kurz, trincerandosi dietro la sua posizione abituale, in attesa di vedere cosa farà Vienna al tavolo Ue. Il commissario agli affari interni Dimitri Avramopoulos ha però tenuto a ribadire che «non possiamo accettare lo status quo», perché «la solidarietà non può essere solo parziale» e «in modo selettivo», ribadendo quindi la necessità di un’intesa tra i 28 sulla riforma del sistema d’asilo entro giugno.
Sale la tensione, intanto, anche con la Svizzera, dove la presidente Doris Leuthard, dopo gli ultimi screzi con Bruxelles con cui è in corso una difficile revisione del quadro dei rapporti bilaterali, ha brandito l’arma del referendum. Il rinnovo solo sino a fine 2018 del pieno accesso alla borsa svizzera ha infatti mandato su tutte le furie Berna. «Dobbiamo chiarire la nostra relazione con l’Europa, dobbiamo sapere in quale direzione andare – ha avvertito la presidente – e sarebbe d’aiuto un referendum fondamentale».