Equo compenso: anche l’Ordine dei giornalisti si dia una mossa

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Per assicurare un’informazione di qualità indispensabile uscire dalla logica dei 3 euro lordi a pezzo

informazione 3 soldi equo compenso giornalismoIn questo scorcio di fine anno, si parla sempre più di qualità dell’informazione, di “notizie bufala” (“fake news”) o infondate, diffuse ad arte solo per suscitare reazioni o link al sito digitale che le ha diffuse, ma non ci s’interroga realmente di come la qualità nell’informazione sia applicata e quanto costi farlo.

L’art. 2 comma 1 della legge n. 233/2012 sull’equo compenso nelle attività editoriali ha aperto la corsa al ribasso prima nelle retribuzioni di chi opera nel settore e, conseguentemente, anche nella qualità del lavoro del giornalista. Un decreto che ha fatto gioco soprattutto ai grandi gruppi editoriali, forti di una forza lavoro pachidermica, ultrapagata e ultragarantita che non ha trovato di meglio che agire sulla leva delle migliaia di collaboratori autonomi (oltre due terzi degli iscritti all’Ordine dei giornalisti sono ormai dei lavoratori autonomi) taglieggiando indiscriminatamente sulle loro retribuzioni. Così facendo, è improbabile che si riesce ad avere la qualità che i lettori giustamente reclamano. Difficile fare un articolo con tutti i crismi quando si è pagati, quando va bene, 5 euro a pezzo lordi (con casi, frequenti, anche sotto questa soglia). Cosa è possibile fare con 5 euro a pezzo, quando per vergare anche solo una notizia breve serve almeno un quarto d’ora per scriverla correttamente senza lasciare il testo infarcito d’errori di battitura o strafalcioni grammaticali, per non dire del tempo necessario per acquisirla? Cosa si può fare quando si è retribuiti con 20 euro all’ora, per giunta lordi? Poco e per giunta male.

Qualcosa è intervenuto, con il recente decreto fiscale contenuto nel DL n. 218/2017 che ha esteso, inaspettatamente, l’equo compenso anche ai giornalisti lavoratori autonomi. Ora tocca all’Ordine dei giornalisti uscire dal suo immobilismo quasi atavico (è uno dei pochi ordini ancora privo delle tabelle ministeriali di riferimento che dovevano essere emanate già nel 2012) e fissare dei compensi che siano non solo dignitosi del lavoro giornalistico, ma anche ricomprendano i costi vivi e quelli orari necessari per vergare un articolo con i necessari controlli ed approfondimenti. Che, ovviamente, non si fanno in uno schiocco di dita, ma richiedono tempo. Tempo che va giustamente retribuito decentemente, possibilmente almeno allo stesso livello di un artigiano mediamente qualificato, tipo un idraulico o un meccanico che interviene quando c’è da cambiare il rubinetto o mette a posto l’autovettura. 

In quali termini? E’ presto detto: per raccogliere le informazioni alla base di un articolo si deve partecipare o ad un evento (come una conferenza stampa) o leggersi qualche documento. Questa fase prodromica alla scrittura dell’articolo può necessitare di un tempo variabile tra una e le due ore, comprensivo del tempo di trasferimento necessario per parteciparvi. A questa s’aggiunge il tempo necessario per la stesura materiale del pezzo, almeno mezz’ora ma più frequentemente un’ora per un articolo di media complessità, comprensiva della revisione dei contenuti (per assicurare un compiuto significato logico allo scritto ed evitare fastidiose ripetizioni di lemmi e sostituire linguaggio tecnico ed anglicismi con cui sono infarciti i comunicati stampa ufficiali con vocaboli nella lingua di Dante facilmente comprensibili a tutti) e il controllo dei rifusi di battitura (frequenti, nonostante tutto). 

A questo s’aggiunge il tempo per corredare iconograficamente la notizia, ricorrendo alla ricerca di materiale nella rete, oppure elaborando le fotografie scattate personalmente (possibilmente con una macchina fotografica!) o quelle presenti nella cartella stampa. Anche per questo passaggio, il tempo non è una variabile indipendente, ma tra fare una ricerca o settare adeguatamente un’immagine con luci, taglio, bilanciamento dei colori, ecc, fa presto a passare almeno un altro quarto d’ora. Alla fine, per allestire una notizia degna di questo nome, accompagnata da una-due immagini sono servite almeno tre ore e mezza. Tornando all’esempio di prima, se si vuole prendere a parametro un artigiano, queste tre ore e mezza valgono almeno 175 euro lordi, cui andrebbe aggiunto anche il rimborso per le spese vive sostenute (dall’impiego dell’automobile o dei mezzi di trasporto pubblico) per chiudere il cerchio. Se poi chi scrive la notizia, vuoi per la sua esperienza, per i titoli di studio, per la capacità gli frullasse il ghiribizzo di chiedere (del tutto legittimamente, per carità) qualcosa in più di 50 euro lordi all’ora per il suo lavoro, si andrebbe facilmente verso i 250-300 euro ad articolo. Una cifra “ricca” cui vanno defalcati i contributi previdenziali e le tasse, ragion per cui in mano al giornalista rimangono in tasca più o meno il 40/50% di quanto incassato.

Prevedere come parametro il tariffario vigente fino al 2007 stabilito dall’Ordine dei giornalisti potrebbe essere una buona base di partenza, semmai cancellando la distinzione allora in essere tra le retribuzioni per la grande stampa nazionale e quella locale, visto che il tempo necessario per redigere un articolo varia di poco e per chi fa giornalismo è necessario assicurargli una retribuzione che lo metta al riparo dalle “tentazioni” dall’essere imparziale o di spacciare per informazione anche quanto ha un potenziale contenuto d’interesse per il soggetto che la diffonde. Senza considerare il fatto che oltre a pagare le tasse è necessario accumulare un capitale sufficiente per pagarsi una pensione decente per la vecchiaia.

Su tutto quanto, l’Ordine dei giornalisti dovrebbe attuare una sorveglianza decisamente più stringente per evitare i casi di concorrenza sleale perpetrata dai tanti, troppi giornalisti prepensionati e pensionati che, ancora giovani, combattono la noia del ritirato offrendosi come addetti stampa alle aziende o articolisti alle redazioni per un pugno di spiccioli, forti del loro essere pensionati e percepire ogni mese nella più totale sicurezza ricchi trattamenti (spesso calcolati con il sistema retributivo) che un giornalista lavoratore autonomo solo si sogna di guadagnare ogni mese, ops sbagliavo, ogni anno.