Ritardi dei pagamenti pubblica amministrazione: l’Italia davanti a Corte Ue

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L’ennesimo fallimento delle politiche di Renzi e Gentiloni espone il Paese ad un altro procedimento con le conseguenti sanzioni economiche che saranno pagate dai contribuenti

ritardi pagamenti pubblica amministrazione euro soldi orologioNonostante le promesse (puntualmente non mantenute) di recarsi in pellegrinaggio al santuario di Monte Senario se non avesse sconfitto la mala pratica dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione fatte dinanzi ai telespettatori dall’allora giovane premier Matteo Renzi, nonostante i ripetuti decreti sblocca debiti e l’iniezione di denari freschi alle amministrazioni locali, i monitoraggi dei tempi di pagamento del ministero della Funzione pubblica che è incapace di conoscere in tempo quasi reale lo stato dei pagamenti, in Italia i tempi di pagamento di gran parte della pubblica amministrazione sono ben oltre i limiti di legge (30 e 60 giorni) imposti da un regolamento dell’Unione Europea, che ora porta il Belpaese nuovamente dinanzi alla Corte di giustizia Ue per l’ennesima infrazione.

La Commissione europea ha annunciato di aver rinviato il governo italiano davanti alla Corte di giustizia per violazione della direttiva che stabilisce il termine di 30 giorni (elevati a 60 in casi eccezionali) per il pagamento di beni e servizi da parte della mano pubblica. «A più di tre anni dall’avvio della procedura di infrazione – scrive in una nota la Commissione europea – le amministrazioni italiane necessitano ancora in media di 100 giorni per saldare le fatture, con picchi che possono essere nettamente superiori». 

Dal governo italiano si leva l’ennesimo tentativo di giustificazione, affermando che i risultati finora ottenuti sono «considerevoli e tangibili» soprattutto in un contesto in cui i tempi biblici di pagamento registrati a inizio decennio hanno reso impossibile allinearsi all’Europa in pochi anni. Per gli uomini di Padoan si è arrivati a 13 giorni di ritardo medio ponderato nel 2016, la metà rispetto all’anno prima, mentre Bankitalia stima che lo scorso anno debiti commerciali siano pari al 3,8% del Pil invece del 5,8% del 2012. In un contesto come questo, secondo il ministero dell’Economia e finanze, il deferimento è «ingiustificato e penalizzante».  Di tutt’altro parere il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, secondo cui l’esito è «inevitabile perché l’Italia ha fatto di tutto per non rispettare le regole».

Chi fa le spese di questa situazione sono in particolare le piccole e medie imprese, che sempre più spesso annaspano nella mancanza di liquidità e in debiti finanziari sempre più elevati con il sistema bancario, oltre che mazziate dal penalizzante sistema della separazione dell’Iva dal pagamento delle fatture verso il comparto pubblico, che drena ancora di più la già scarsa liquidità circolante.

Non è un caso che sempre più spesso ci siano imprese che falliscono non già per le incapacità imprenditoriali ma per il duplice strozzinaggio pubblico che paga male e in considerevole ritardo e che ritarda i rimborsi dell’Iva alle imprese che ne hanno diritto. Una situazione che ben difficilmente sarà sanata a breve e che impedirà al sistema Paese di consolidare una stentata crescita testimoniata anche dai bassi livelli di inflazione determinati da un ridotto andamento degli acquisti.