Nomisma Wine Monitor: in Usa bere vino è di moda e il marchio vale più del prezzo

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tnspa bicchiere vino teroldego foto carlo baroni18152
In aumento il consumo tra i giovani. Buone possibilità di crescita sul principale mercato mondiale per i vini italiani

tnspa bicchiere vino teroldego foto carlo baroni18152Bere vino negli Usa è sempre più di moda. E a scegliere le etichette percepite come “fine wines” o vini di qualità sono stati nell’ultimo anno consumatori con reddito familiare alto (54%), elevato titolo di studio (49%), millennial tra i 21 e i 35 anni (43%) a cui si somma la generazione di mezzo (36-51 anni) con un 43% della domanda, con un 43% che consulta il web per informarsi. 

E’ quanto emerge dall’indagine su 2.400 consumatori di vino dei quattro Stati federali maggiori importatori di vino italiano (New York, Florida, New Jersey, California) presentata dall’Istituto Grandi Marchi e Nomisma Wine Monitor. 

Il “fine wine” ideale per il consumatore americano, ha detto il responsabile di Nomisma Wine Monitor Denis Pantini, «è quello prodotto da un’azienda ben consolidata e con esperienza. Il binomio “fine wine” e “Made in Italy” riscuote grande successo negli Stati Uniti: un terzo dei consumatori di vino indica “Italia” quando pensa ai produttori di vini di alta qualità, e Barolo, Amarone e Brunello di Montalcino sono i “fine wine” italiani più citati spontaneamente, così come Piemonte e Toscana sono le regioni che vengono più spesso ricordate, seguite da Veneto e Sicilia». 

Pur essendo la patria della birra, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato al mondo per consumi di vino e dalle potenzialità di crescita ancora rilevanti. Nel corso degli ultimi dieci anni, i consumi sono aumentati a volume del 28% arrivando a 32 milioni di ettolitri; nonostante ciò pesano ancora per appena il 10% sul consumo totale di bevande alcoliche (per l’80% si tratta di birra). Circa un terzo dei consumi statunitensi di vino si riferisce a prodotti d’importazione, cresciuti nel decennio del 33%, arrivando ad un valore di circa 5,5 miliardi di dollari. La quota dell’Italia è passata dal 31% al 34% nel caso dei vini fermi imbottigliati e dal 13% al 32% nel caso degli spumanti. 

«Gli Stati Uniti, al pari di molti altri mercati internazionali, stanno vivendo una rilevante fase di crescita per i vini di alta qualità» ha sottolineato Pantini, evidenziando come per i giovani il vino non è un bere quotidiano e a tavola tra le mura domestiche, come prevede la dieta mediterranea, ma un consumo da occasioni speciali, in locali di tendenza e momenti conviviali. Sono i Millennials (popolazione di età compresa tra 18-35 anni e che oggi pesa per poco più del 10% sui consumi) la generazione su cui puntare per assicurare un futuro a questo comparto chiave per l’economia italiana. 

Quanto ai consumi di vino in Italia, il consumo pro capite di vino è sceso a meno di 40 litri, meno della metà rispetto ai 100 litri a testa degli anni Ottanta. Secondo uno studio svolto da Wine Monitor nel 2017, l’84% dei giovani italiani ha consumato vino in almeno un’occasione negli ultimi 12 mesi e il 35% ha bevuto vino quasi tutti giorni o più volte a settimana. I Millennials consumano vino soprattutto nelle occasioni fuori casa presso ristoranti, enoteche, wine bar (55% contro il 22% dei BabyBoomers), durante pranzi e cene di divertimento con amici (il 65%), in occasioni speciali come compleanni/feste (49%) e, naturalmente, all’aperitivo (46%). Il criterio che guida i giovani nella scelta del vino è innanzitutto la tipologia e, in secondo luogo, il territorio di origine (indicato dal 21% come primo fattore determinante nell’acquisto). Inoltre i consumatori più giovani si dimostrano maggiormente influenzati dal packaging e dal consiglio di amici e negozianti e sono più attenti a caratteristiche che richiamano la “naturalità” (secondo il 26% dei Millennials tra i top attributi/caratteristiche dei vini che creeranno nuovi trend di consumo in futuro ci sono i vini sostenibili, seguiti da quelli biologici con il 18%).