Festeggia il comune, ma ora c’è il fortissimo problema politico degli altri comuni bellunesi che ben prima di Sappada hanno chiesto il passaggio al Trentino Alto Adige. Zaia: «pronti a dare lo sbocco al mare al Trentino». De Menech: «montagna vittima di una politica debole»
Via libera definitivo al passaggio del comune di Sappada dalla Regione Veneto, a cui appartiene, alla Regione Friuli Venezia Giulia. L’Aula della Camera ha definitivamente approvato la proposta di legge con 257 voti a favore, 20 contrari e 74 astenuti. Ad astenersi sono stati i deputati di Fi, Direzione Italia e Mdp.
«Se siamo contenti di diventare più ricchi? Calma, vediamo. Il Friuli Venezia Giulia è una cosa, l’autonomia del Trentino Alto Adige è un’altra» risponde, senza lasciarsi andare all’entusiasmo, il sindaco di Sappada, Manuel Piller Hoffer, comune ormai ex-veneto e neo friulano, dopo il voto della Camera. «Prendiamo atto del voto della Camera – dice Piller Hoffer – perchè era quello che volevamo, un “Sì” o un “No” dopo un iter di quasi dieci anni. Per cambiare Regione dovremo aspettare altri passi; la firma del Capo dello Stato, la pubblicazione in gazzetta e i decreti attuativi. C’è da capire, ad esempio, se anche nel nostro caso si percorrerà la strada fatta con altri Comuni delle Marche che qualche anno fa cambiarono regione, e nella fase degli adempimenti furono commissariati sei mesi. Nelle strade del paese il comitato referendario ha dato il via ai caroselli in auto, ma io devo dire che ho sempre avuto un buon rapporto con il Veneto e con il presidente Zaia».
«E’ una giornata storica per Sappada che ritorna in Friuli. La Provincia di Udine, nel cui territorio insiste il comune montano, dà il benvenuto ai Sappadini, comunità con una particolarità importante: l’antico dialetto tedesco parlato dalla popolazione» afferma, esprimendo «grande soddisfazione» il presidente della provincia di Udine Pietro Fontanini annunciando che inviterà il sindaco di Sappada, Manuel Piller Hoffer, a palazzo Belgrado per consegnargli la bandiera del Friuli.
«A Roma si continua a banalizzare, si pensa che la cura, che sarebbe l’autonomia, si possa sostituire con amputazioni ad hoc – commenta il presidente del Veneto, Luca Zaia -. Non è un caso se 2,4 milioni di veneti sono andati a votare per il referendum sull’autonomia». Ma la scelta a Roma, ribadisce, è di usare come cura «l’amputazione, invece di riconoscere che quella veneta è una questione cruciale. Oggi se ne va Sappada. Domani sarà Cortina d’Ampezzo, poi chissà. Di questo passo daremo uno sbocco al mare al Trentino», ha commentato con ironia Zaia.
Per il presidente veneto è invece necessario prendere atto «che il Veneto è l’unico a confinare con due regioni a statuto speciale e fare una riflessione: i comuni che ci chiedono di andarsene lo fanno solo verso Friuli e Trentino, nessuno ci chiede di passare in Lombardia o in Emilia Romagna. Bisognerebbe spiegare il perché».
«La montagna, la mia montagna oggi è vittima di una politica debole e senza coraggio» afferma il deputato bellunese Roger De Menech (Pd) che, in coerenza con la posizione tenuta in questi anni, ha deciso di non partecipare al voto. «La politica dei francobolli – ha spiegato – lungi dal risolvere qualsiasi problema in modo strutturale, rischia oggi di far diventare una polveriera l’intera provincia di Belluno. Basti dire che sabato prossimo verranno celebrati i 10 anni dal referendum della Ladinia che ha interessato i comuni di Colle Santa Lucia, Livinallongo e Cortina con un’iniziativa a cui parteciperà l’ex presidente della Provincia di Bolzano, Durnwalder. Non credo serva aggiungere altro. Certo, il problema che il Parlamento ha affrontato oggi – afferma ancora De Menech – viene da lontano ed è stato coltivato da quanti ad ogni livello, comunale, provinciale e regionale per anni hanno cavalcato il malcontento locale, fomentando iniziative referendarie e alimentato di conseguenza legittime aspettative nelle popolazioni che chiedevano di lasciare la nostra regione per unirsi alle Province o Regioni autonome. Però questo Parlamento ha la responsabilità della propria miopia di fronte ai problemi. E lo è in modo assolutamente trasversale. Dopo il voto odierno, le migliaia di cittadini degli altri 17 comuni bellunesi che dal 2005 in poi hanno chiesto di passare ad altra regione, si sentiranno giustamente presi in giro: perché per Sappada il Parlamento vota, in fretta e furia, mentre le richieste di Lamon, Sovramonte, Cortina e tutti gli altri rimangono nel dimenticatoio? Abbiamo imboccato una strada che aumenterà risentimento, frustrazione e antipolitica pura. I problemi e i nodi si sommano, non si sciolgono».
«Dispiace dirlo, ma con il voto di oggi, sul provvedimento per il distacco del Comune di Sappada dal Veneto al Friuli Venezia Giulia, il Parlamento italiano si è reso protagonista di una brutta pagina della storia democratica del nostro Paese. E’ stata messa in atto una forzatura ingiustificata, contro le legittime perplessità del Consiglio regionale del Veneto e contro l’articolo 132 della Costituzione, che in questo passaggio parlamentare non è stato in alcun modo rispettato». Lo affermano in una nota congiunta Paolo Sisto e Renato Brunetta, deputato e capogruppo di Fi alla Camera.
«La Regione Veneto – proseguono i due parlamentari azzurri – organo riconosciuto dalla nostra Carta fondamentale, aveva diritto di esprimere, come da giurisprudenza costituzionale, un parere formale in merito a questo provvedimento, parere che non è stato possibile formulare a causa dei tempi strettissimi concessi dal presidente della Commissione Affari costituzionali di Montecitorio, Andrea Mazziotti di Celso. La maggioranza, altri gruppi parlamentari e la stessa presidente Boldrini non hanno ritenuto di dover concedere ad un tema così delicato un ulteriore margine di approfondimento e di riflessione. Una decisione che non condividiamo e che contestiamo nel merito e nel metodo. Per queste ragioni Forza Italia si è astenuta oggi in Aula e già nelle prossime ore invierà una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere al Capo dello Stato di non firmare la legge appena votata e di rimandare alle Camere il provvedimento, difendendo così la Costituzione e la correttezza delle procedure democratiche».