La relazione chiama in causa un problema nella catena delle procedure sanitarie. Bordon: «siamo in attesa di visionare tutta la documentazione. Siamo a Disposizione della procura per una totale collaborazione»
La morte per malaria della bambina trentina di quattro anni sarebbe stata dovuta ad un contagio avvenuto all’interno dell’ospedale di Trento. Secondo i periti dell’Istituto Superiore di Sanità, che hanno trasmesso alla Procura di Trento le loro conclusioni, il contagio sarebbe avvenuto in ambito ospedaliero, escludendo che il veicolo dell’infezione sia stata una zanzara: se errore c’è stato, si è trattato – commentano gli inquirenti – di una macroscopica falla nelle procedure, in sostanza un errore umano non facilmente individuabile.
Quella dell’ISS è una relazione di tre pagine, molto tecnica, che conferma le dichiarazioni rilasciate nei giorni corsi dal ministro della salute Beatrice Lorenzin. In sostanza conferma che la piccola Sofia è stata contagiata con lo stesso ceppo malarico di una delle due bambine del Burkina Faso che si trovavano al S. Chiara di Trento nello stesso periodo in cui era ricoverata la bimba.
«Le autorità preposte cercheranno di comprendere come sia avvenuto il contagio, è una situazione particolarmente complessa ma mi sento confortata dal fatto che non vi siano focolai epidemici di malaria in giro per l’Italia. Sicuramente sull’infezione provocata dal contatto di sangue sono state scritte delle ricostruzioni molto lontane dal vero, ci sono stati invece fattori più complicati e la magistratura ci sta lavorando» ha detto il ministro della Salute Lorenzin commentando le conclusioni dei periti dell’Istituto Superiore di Sanità.
Dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari, il direttore generale Paolo Bordon in una nota dichiara che «l’Apss non commenterà nulla fino a quando non avremo visionato la documentazione. La commissione che ci ha supportato nelle indagini interne composta, tra gli altri, dal professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale delle malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, sta completando la relazione e non appena la riceverò la consegnerò personalmente al procuratore dottor Marco Gallina quale contributo dell’Apss nella vicenda legata alla morte della piccola Sofia, mettendoci a completa disposizione delle autorità preposte. La verità è dovuta principalmente ai familiari della bambina, ma anche al nostro personale medico e infermieristico che ha sempre lavorato con impegno e dedizione e che è molto provato da questa vicenda».
Riconducendo la vicenda all’interno delle pratiche ospedaliere, torna di strettissima attualità il problema delle infezioni ospedaliere, che ogni anno si stima causino da 4.500 a 7.000 morti ogni anno. Per Giancarlo Icardi, ordinario di Igiene generale ed applicata dell’Università degli Studi di Genova, «anche se le analisi puntano il dito su un errore ospedaliero nel caso della bambina morta di malaria a Trento capire come sia stato possibile il contagio è molto difficile, anche perchè il reparto dove era ricoverata la piccola non ha molte procedure invasive».
«Il problema delle infezioni nosocomiali è ben conosciuto a livello mondiale – spiega Icardi -, e ci sono studi che ipotizzano che fino a una su tre sia causata da un comportamento errato del personale, che però di solito è il mancato lavaggio delle mani. Detto questo però il caso della bambina è assolutamente eccezionale, perché negli ultimi decenni, diciamo da quando si conosce l’Aids, sono stati studiati e messi in campo sistemi di sorveglianza e per la protezione individuale molto sofisticati, che hanno drasticamente ridotto la trasmissione di microrganismi che usano il sangue come veicolo di infezione, tant’è vero che sono almeno dieci anni che non si documenta un caso di trasmissione di Hiv nosocomiale. E’ molto più frequente e “facile” la trasmissione di agenti patogeni che si trasmettono per via aerea».
Il problema delle infezioni ospedaliere «è un problema noto, ma il livello di attenzione è molto alto – spiega Icardi -, ci sono linee guida, servizi per la gestione del rischio e team in ogni ospedale che fanno verifiche interne sulle procedure utilizzate. Si sta lavorando molto per ridurre il problema».