Dopo il referendum dell’autonomia: reazioni scomposte alla richiesta della specialità per il Veneto

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Levata di scuti da parte del centro sinistra. Avanzata anche la proposta di abrogare tutte le specialità. Ciambetti: «la nostra proposta è legittima e supportata da una legge regionale e dalle procedure costituzionali»

referendum22ottobreReferendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia il giorno dopo. Mentre Zaia e Maroni si sono messi alacremente al lavoro per ridurre il più possibile gli adempimenti per arrivare all’approvazione delle leggi con cui aprire con il governo centrale la trattativa, trattativa che potrebbe iniziare molto presto, visto che lo stesso premier Palo Gentiloni ha dichiarato che non intende attendere tutti i sessanta giorni previsti dalla normativa, intanto si sprecano le reazioni, talvolta scomposte, alla richiesta di autonomia speciale da parte del Veneto.

Chi afferma che non è possibile concedere l’autonomia speciale al Veneto perché l’attuale assetto costituzionale non lo prevede, non conosce appieno tutta la proposta, oppure è in malafede. Il governatore veneto, Luca Zaia, ha proposto alla Giunta regionale, che ha approvato all’unanimità, tre distinte proposte di legge, ciascuna con un diverso obiettivo. Una di queste riguarda esplicitamente la modifica alla Costituzione vigente, aggiungendo alle odierne cinque regioni a Statuto speciale una sesta, quella del Veneto. Modifica che sarà possibile solo dopo avere completata la procedura rafforzata tipica delle leggi costituzionali, con doppia lettura e approvazione a maggioranza assoluta – pena il referendum confermativo – da parte del Parlamento.

Chi parla di atto sedizioso o contrario all’unitarietà dello Stato probabilmente è fuori strada. Dare l’autonomia speciale ad una regione che lo chiede – e che ha dato ampia dimostrazione di averla meritata – non è il primo passo per scardinare lo Stato, semmai serve proprio per rafforzarlo e rivitalizzarlo, dando responsabilità di decisione e di spesa a chi è in grado di assumersela. Viceversa, chi nel tempo ha dato ampia prova di non essere in grado di autogestirsi, come la Sicilia, dovrebbe fare il cammino inverso, chiedendo allo Stato un regime commissariale per cercare di ricostruire il proprio sistema gestionale che è totalmente deficitario, tant’è che tocca allo Stato intervenire ogni anno con sostanziose iniezioni di denaro pubblico per ripianare i buchi del bilancio regionale – dal quale mancano pure 54 miliardi di euro di tasse non riscosse dai contribuenti isolani per incapacità della classe politica locale.

Dovrebbero stare attente anche le specialità già esistenti, perché nella confusione generale che regna nel Parlamento, potrebbe esserci anche il tentativo di azzerare tutto. Più che criticare le richieste altrui, il presidente dell’autonomissima provincia di Trento, Ugo Rossi, farebbe meglio a riflettere prima di rilasciare dichiarazioni sopra le righe. «Mi ero appena complimentato con Zaia per il successo del referendum. Poi sento che svilisce quello che deve essere un percorso virtuoso con uscite estemporanee – dice Rossi -. La Costituzione non prevede altre autonomie speciali, questione di storia, guerre e minoranze linguistiche. Diffondere illusioni non aiuta l’autonomia». Rossi più che a discettare delle pagluizze negli occhi altrui, dovrebbe riflettere sulle travi che albergano nella propria gestione dell’autonomia, visto che durante i suoi quattro anni di governo dell’Autonomia speciale, il Trentino non ha saputo correre come il “cugino” Alto Adige, dove un progetto chiaro e coeso di autogoverno, tasse più basse e burocrazia più efficiente hanno consentito una crescita decisamente maggiore rispetto ad un Trentino che arranca.

A questo riguardo, più pragmatica la riflessione del presidente della provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, secondo il quale «il mancato successo del referendum del dicembre scorso è stato dovuto al fatto che non operava una scelta netta, non andava né verso un modello di stampo federalista né centralista. E’ ora di fare scelte nette in segno federalista». Secondo Kompatscher la Conferenza delle Regioni «dovrebbe avere la possibilità di interloquire davvero col governo, potendo esprimere intese vincolanti per determinate materie. La via di mezzo attuale, porta a sottovalutare questo strumento, anche come luogo propulsivo; questa impostazione non le fa avere il ruolo che dovrebbe avere. Autonomia vuol dire responsabilità: serve il federalismo ma anche il federalismo fiscale e la solidarietà, il sistema va costruito su questa logica, solo così funziona».

Scende in campo anche il presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, che mette qualche punto fermo sul tema dell’autonomia speciale. «Nessuna fuga in avanti: all’on. Renato Brunetta rammento che siamo sempre nel solco della norma approvata a suo tempo dal Consiglio regionale con i voti qualificati e  determinanti  del suo partito. A Lorena Milanato, deputata forzista, più aggiornata del collega visto che rivendica al proprio partito il quesito referendario, rammento che non esiste norma che impedisca ad una Regione di avanzare una proposta di Riforma Costituzionale relativa alla nascita di una regione a Statuto speciale» sottolinea Ciambetti. 

«La Legge regionale 19 giugno 2014 n. 15 che istituiva il Referendum svoltosi domenica scorsa fu sottoscritta e votata anche da Forza Italia – ribadisce Ciambetti – nel testo prevedeva all’art. 2 punto 5 la domanda “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?” Forse l’on. Brunetta non ha letto la legge o non sapeva che i consiglieri di Forza Italia l’avevano sottoscritta, cosa che non è sfuggita invece all’on. Lorena Milanato. La proposta di oggi del presidente Zaia si inserisce perfettamente nella spirito della legge 15 ed è rispettosa del forte mandato affidatogli da oltre due milioni di elettori di aree politiche diverse ma accumunati dal sentimento autonomista».

Ciambetti prosegue sostenendo che «per dare concretezza al risultato elettorale c’è sicuramente la strada della trattativa con il Governo ma, indipendentemente da ciò, nulla vieta che la Regione avanzi contestualmente una proposta di Riforma Costituzionale. Come sostengono autorevoli studiosi, ci sono diversi piani su cui la Regione può legittimamente operare: c’è il livello politico, come il percorso dello Statuto autonomo, che prevede il confronto con il legislatore, cioè con il Parlamento e c’è il percorso tecnico del tavolo da aprire con Palazzo Chigi. La prudenza – sottolinea Ciambetti –  non è mai troppa, soprattutto se ci si deve confrontare con apparati e strutture come quelle romane e so bene che le trattative e il confronto in ogni caso non saranno facili. La proposta della costituzione del Veneto in Regione a Statuto speciale non è affatto sovversiva, né, tantomeno, una provocazione lacerante come alcuni esponenti del governo italiano hanno voluto dipingerla con toni esagerati. Casomai, vedo in queste letture una scarsa conoscenza del processo che ha portato al voto di domenica scorsa: era chiaro che la trattativa con Roma avrebbe potuto prevedere anche l’opportunità, legittima, della proposta di uno Statuto autonomo, come indicato appunto nella Legge 15 e come votato dal Consiglio regionale con la partecipazione convinta dei consiglieri forzisti che oggi, tra l’altro, Brunetta sembra ignorare o forse  sconfessare».

Comunque, se l’aspirazione del Veneto a diventare una regione a Statuto speciale non dovesse andare a buon fine, c’è sempre la possibilità di salire sul carro della riforma dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige. Già da anni la provincia di Belluno chiede di passare alla regione Trentino Alto Adige, diventando la terza provincia di questo ente che nel tempo ha subito una scientifica opera di spoliazione da parte della SVP (con la silenziosa connivenza di PD e dei partitini minori del Trentino) che ha spostato i poteri a livello delle due province. Si potrebbe ravvisare uno scenario di una Venezia Tridentina ampliata, con il Veneto annesso alla regione Trentino Alto Adige, dando l’autonomia speciale anche alle sette province della Serenissima. Uno scenario da cui ci guadagnerebbero tutti, e pace se il potere si trasferirà da Venezia a Trento.