Dal piccolo paese oggi sloveno si arrivò alla gloriosa riscossa del Piave
E’ passato un secolo da una disfatta così bruciante nella memoria degli italiani da essere diventata sinonimo senza tempo di sconfitta rovinosa. Nelle vallate e sugli altipiani attorno a Caporetto, oggi piccolo paese sloveno chiamato Kobarid, cominciò il 24 ottobre 1917 una battaglia che si sarebbe conclusa poco più di un mese dopo.
Un conflitto che vide il traumatico sgretolamento del fronte italiano, arretrato nel frattempo di quasi duecento chilometri a ovest sull’onda dell’avanzata nemica. La breccia si aprì dopo due giornate di combattimento e vi si infilarono le truppe austroungariche e tedesche che, sebbene fiaccate da un’interminabile guerra di posizione, affondarono la baionetta fino al Piave. L’esercito italiano non ricorda rotte peggiori in tutta la sua storia. Quella di Caporetto fu la dodicesima battaglia sull’Isonzo.
Con un immane sacrificio di vite umane, il quasi settantenne generale Luigi Cadorna era riuscito a prendere Gorizia l’anno precedente, ma i combattimenti sul Carso continuavano con molte perdite e avanzamenti di pochi chilometri. Gli eserciti imperiali si decisero a reagire alle porte dell’inverno, complice il contemporaneo alleggerimento del fronte orientale, dovuto all’imminente crollo della Russia zarista, che dì lì a pochi giorni sarebbe stata investita dalla rivoluzione bolscevica.
La reazione austro-tedesca prese forma a Caporetto: l’ammasso di uomini e materiali bellici durava da un mese e alle due del mattino del 24 ottobre cominciò il durissimo bombardamento sulla linea Plezzo-Tolmino. L’attacco era stato ampiamente previsto dal comando maggiore italiano, ma i vertici militari ne avevano sottovalutato portata e obiettivi, mettendo perciò in campo strategie difensive esitanti e inadeguate, segnate da gravi lacune nelle catene di comunicazione fra le divisioni. Le resistenze si rivelarono subito vane.
In poco tempo il ripiegamento si fece ritirata e la ritirata divenne disfatta. Il conto finale di quella sconfitta parla di oltre diecimila morti, trentamila feriti e quasi trecentomila soldati presi prigionieri. I militari sbandati erano quattrocentomila: laceri, senza ordini e scompostamente diretti verso il Veneto, assieme a ben seicentomila profughi civili, che portarono con sé il poco che potevano, venendo ospitati in campi di baracche, alberghi, strutture religiose e appartamenti sfitti dietro la nuova linea del fronte. Questa venne attestata sul Piave il 9 novembre, come stabilito da Cadorna poco prima della sua destituzione e della nomina di Armando Diaz, motivate dall’impreparazione degli alti gradi militari, che cercarono fin dal primo momento di attribuire il tracollo al disfattismo serpeggiante nel Regno e fra i soldati. Ottobre non era ancora terminato e l’arretramento era in pieno svolgimento, ma Cadorna non aveva provato pudore a emanare un bollettino per autoassolversi e incolpare reparti «vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico».
Per ironia della sorte, il ribaltamento avvenne a un anno esatto dalla disfatta, dopo una lunga fase di resistenza sulla linea del Piave che era riuscita a fiaccare i militari austro-tedeschi. Alla fine dell’ottobre 1918 gli imperi centrali erano stremati e i fronti interni ormai venuti meno, mentre gli Stati Uniti si presentavano come nuova indiscussa potenza mondiale. Proprio il 24 ottobre cominciò l’avanzata italiana, che ebbe in Vittorio Veneto il luogo assurto a emblema della riscossa dopo Caporetto. Il 4 novembre entrò in vigore l’armistizio di Villa Giusti, che segnò per l’Italia il compimento dell’unità territoriale, tanto da essere celebrata fino al 1976 come festa nazionale. Il giorno precedente reparti italiani erano sbarcati a Trieste e avevano occupato Trento. Il sogno risorgimentale era compiuto, ma iniziava un lungo dopoguerra, terreno di coltura del fascismo e dei violenti processi di snazionalizzazione che gli sloveni dovettero subire dopo l’annessione al Regno. Non ne fu esente Caporetto, passata all’Italia nel 1920.
Gli imperi si erano nel frattempo dissolti e la mappa geopolitica dell’Europa ne risultò rivoluzionata. L’orrore della guerra totale si sarebbe riaffacciato dopo soli vent’anni, ponendo stavolta sullo stesso fronte Italia, Germania e Austria, avvitate nel delirio totalitario, eredità dell’accelerazione impressa al continente dalla Prima guerra mondiale e delle scorie che questa aveva inoculato nelle società europee.