Secondo la Cgia in 8 anni sono mancati 18,6 miliardi di euro che hanno tolto ossigeno all’economia e tagliando buona parte degli effetti anticongiunturali
In Italia sono crollati gli investimenti pubblici. Dal 2005 al 2017, secondo l’Ufficio studi della Cgia, la contrazione è stata del 20%; ma rispetto al 2009, punta massima di crescita registrata prima della crisi, la riduzione è stata pesantissima: -35%. Nessun altro indicatore economico ha registrato una caduta percentuale così rovinosa.
In termini nominali in questi ultimi 8 anni sono stati “bruciati” 18,6 miliardi di euro di investimenti. Se rispetto al 2016 si è leggermente invertita la tendenza, nella Nota di aggiornamento del Def presentata nelle settimane scorse si evince che nel 2017 l’ammontare complessivo della spesa per investimenti del settore pubblico si dovrebbe attestare a quota 35,5 miliardi di euro.
«Gli investimenti pubblici – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – sono una componente del Pil poco rilevante in termini assoluti, ma fondamentale per la creazione di ricchezza. Se non miglioriamo la qualità e la quantità delle nostre infrastrutture materiali, immateriali e dei servizi pubblici, questo Paese è destinato al declino. Senza investimenti non si creano posti di lavoro stabili e duraturi in grado di migliorare la produttività del sistema e, conseguentemente, di far crescere il livello delle retribuzioni medie. Ricordo, altresì, che il crollo avvenuto in questi ultimi anni è stato dovuto alla crisi, ma anche ai vincoli sull’indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles che, comunque, possiamo superare, se, come prevedono i trattati europei, ricorriamo alla golden rule. Ovvero alla possibilità che gli investimenti pubblici in conto capitale siano scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri».
A livello territoriale, gli ultimi dati disponibili sono aggiornati al 2015 e, a differenza di quelli riportati nel grafico includono anche quelli realizzati dal settore pubblico allargato (Spa), ovvero dalle imprese pubbliche nazionali (Posteitaliane, Gruppo Ferrovie dello Stato, Terna, Aci, Gestore servizi elettrici, etc.) e da quelle locali (municipalizzate, Cconsorzi di enti locali, etc.).
Se tra il 2005 e il 2015 gli investimenti dello Spa in conto capitale sono diminuiti a livello nazionale del 23% (pari a -13,3 miliardi di euro), la ripartizione territoriale che ha registrato la contrazione più importante è stata il NordEst che ha subito un “taglio” pari a 5,3 miliardi di euro (-37,4%). Friuli Venezia Giulia (-51,1%), Piemonte (-44,9%) ed Emilia Romagna (-41,9%) sono state le regioni più “colpite” da questa “sforbiciata”. Se anche il NordOvest (-32,2%) e il Centro (-27,6%) segnano riduzioni molto consistenti, l’unica macro area che ha registrato un risultato positivo è stata il Mezzogiorno (+ 419 milioni di euro pari al +2,7%). Tra le regioni del Sud spicca il risultato positivo ottenuto dalla Puglia (+20,3%), dalla Basilicata (+24,3%), dalla Calabria (+38,1%) e dall’Abruzzo (+57%) che ha potuto beneficiare degli interventi pubblici riconducibili alla ricostruzione post terremoto. Ma con risultati spesso non sempre coincidenti con la massa di denaro investito, spesso finito per alimentare la spesa corrente e clientelare.
Se alla spesa per investimenti si aggiunge anche la spesa per trasferimenti in conto capitale, si può vedere come in questi ultimi 10 anni i primi sono diminuiti del 23%, i secondi, invece, sono aumentati del 15,7%. Complessivamente, comunque, il totale della spesa in conto capitale (investimenti + trasferimenti) è in calo del 12,7%, attestandosi nel 2015 su un valore nominale pari a 69,1 miliardi di euro.
Grazie alla disponibilità di queste 2 fonti, è stato possibile mettere in linea gli interventi pubblici in conto capitale che sono stati effettuati tra il 2005 e il 2015 sia dal comparto pubblico che dalla Spa per ciascun livello di governo. Il risultato che emerge è molto significativo. Se la pubblica amministrazione nel suo complesso ha tagliato decisamente gli investimenti del 30,6% (pari a -15,2 miliardi di euro), le aziende del Settore pubblico allargato, invece, hanno aumentato l’impegno del 17,5% (+5,1 miliardi di euro). In buona sostanza lo Stato e gli enti locali hanno ridotto il loro impegno di spesa e a investire ci hanno pensato le grandi aziende pubbliche.
Sempre tra il 2005 e il 2015, i settori maggiormente interessati da questa stretta sugli investimenti sono stati in termini nominali la mobilità (-5,2 miliardi pari a -24,9%), la cultura e la ricerca (-4,1 miliardi pari a -47,6%), l’amministrazione generale (-2,3 miliardi di euro pari a -41,8%), le attività produttive e le opere pubbliche (-2,2 miliardi pari a -13,3%). In controtendenza, invece, solo le reti infrastrutturali che hanno visto aumentare gli investimenti in conto capitale (grazie soprattutto alla realizzazione della rete ferroviaria alta velocità/alta capacità) sia della pubblica amministrazione che della Spa di 9 miliardi di euro (+76,5%).