Presentato il nuovo Piano socio-sanitario della regione Emilia-Romagna

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Insieme ai territori, ai servizi e al Terzo settore per dare sempre più risposte ai cittadini, a partire da quelli più fragili. Bonaccini: «la persona e i suoi bisogni al centro»

bonacini gualmini venturiAiutare le persone in difficoltà a superare condizioni di esclusione sociale attraverso i programmi di avvicinamento al lavoro, combattere la povertà estrema grazie al reddito di solidarietà, promuovere l’invecchiamento attivo e il benessere degli anziani. E ancora, sviluppare il sistema delle Case della salute e gli Ospedali di comunità, per una sanità sempre più capace di rispondere ai bisogni dei pazienti. Poi, azioni concrete per prevenire il disagio degli adolescenti e assistere le donne in condizioni di fragilità, a partire da quelle che hanno subito violenza, ma anche programmi volti all’assistenza dei disabili.

Sono solo alcuni dei progetti messi in campo dal nuovo Piano sociale e sanitario della Regione Emilia-Romagna per il triennio 2017-2019, presentato a Reggio Emilia. A illustrarne gli obiettivi e i contenuti, il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, la vicepresidente con delega al welfare, Elisabetta Gualmini, e l’assessore alle politiche per la salute, Sergio Venturi, durante il convegno “Se sociale e sanitario lavorano insieme”, nella sede di Reggio Children.

«Vogliamo coniugare sviluppo e solidarietà, innovando e potenziando il sistema di welfare regionale, perché, come abbiamo detto sin dall’inizio, tutti devono poter tagliare il traguardo – afferma Bonaccini -.  Mettere al centro le persone, in particolare quelle più fragili, e dare risposte concrete ai nuovi bisogni, a partire dal contrasto alla povertà e all’esclusione sociale: questa la sfida che ci vede impegnati ogni giorno. Abbiamo investito nella sanità regionale, intervenendo sulle strutture e gli organici, e continueremo a farlo, vincendo sfide che parevano impossibili, come l’abbattimento delle liste d’attesa, e assumendo oltre 4.300 medici, infermieri e operatori in due anni. Solo considerando il sostegno alle persone non autosufficienti e alle loro famiglie – aggiunge poi il presidente – nel 2016 abbiamo investito oltre 470 milioni di euro; e adesso che il Reddito di solidarietà è diventato operativo, potremo concretamente aiutare con 35 milioni di euro 20.000 famiglie dell’Emilia-Romagna che si trovano in condizioni di povertà assoluta».

«Il nuovo Piano – spiega Gualmini – coniuga il ruolo fondamentale del pubblico nella regia, pianificazione e controllo dell’operato dei distretti e della qualità dei servizi, con il dinamismo delle nostre comunità e delle associazioni, che sono parti attive nell’ascolto dei nuovi bisogni. È uno strumento con cui fronteggiamo i nuovi rischi sociali e le vere e proprie emergenze che si sono manifestate negli ultimi anni. Ci sono politiche che per la prima volta si toccano e si intersecano. A partire da quelle abitative e sociali, perché oggi più che mai la perdita della casa rischia di diventare il primo tassello di un percorso di marginalizzazione crescente, il primo elemento di vulnerabilità in un circolo vizioso da cui è sempre più difficile uscire».

«Abbiamo lavorato assieme agli enti locali, alle comunità, alle Aziende sanitarie e alle associazioni del Terzo settore con lo stesso obiettivo: creare una sanità e un welfare sempre più capaci di dare risposta ai bisogni dei cittadini, in particolare i più fragili: gli anziani, i disabili, i malati – sottolinea Venturi -. Gli interventi che il Piano mette in campo riguardano aspetti concreti dell’organizzazione sociale e sanitaria della nostra regione: dalle Case della Salute agli Ospedali di comunità, dai programmi di riduzione delle liste d’attesa, che ci hanno già permesso di conseguire risultati importanti, agli investimenti per le persone non autosufficienti, fino al Programma Dopo di noi, pensato per i disabili che rimangono soli dopo la morte di chi li accudisce».   

Punti cardinali del Piano sono lotta all’esclusione, alla fragilità e alla povertà sono i principali obiettivi del documento; integrazione tra sanità e welfare, programmazione partecipata, coinvolgimento diretto del Terzo settore, riorganizzazione dei servizi in base ai nuovi bisogni determinati dalla crisi economica ne sono il fulcro.

Al Piano si affiancano per la prima volta 39 schede operative: una novità, più in linea con i documenti di matrice europea, che permette di integrare la parte di indirizzo generale con indicazioni dettagliate per la realizzazione delle azioni. Azioni che hanno il compito di migliorare la presa in carico della popolazione fragile (anziani spesso non autosufficienti e soli, ma anche famiglie e adolescenti in condizione di povertà o disagio), promuovere e monitorare la qualità e la sicurezza sia nelle cure che nei luoghi di lavoro, perseguire la qualificazione del personale e l’equità di accesso ai servizi in tempi adeguati al bisogno.

Il Piano è accompagnato da una radiografia sociale della Regione: al 2016, la popolazione residente in Emilia-Romagna è 4.454.000 persone. I dati demografici parlano di una popolazione che continua a invecchiare: i “grandi anziani”, cioè gli ultra 75enni, sono 560.835 e rappresentano più di una persona su dieci residenti. Le previsioni fino al 2020 ipotizzano una crescita a ritmi molto contenuti della popolazione regionale, con uno spiccato cambiamento della sua composizione, che sarà sempre più eterogenea e multiculturale: oggi in Emilia-Romagna il 12% dei residenti non ha cittadinanza italiana e quasi un bambino su tre nasce da madre straniera.

Altro elemento profondamente mutato è la struttura della famiglia, la cui dimensione media si è ridotta progressivamente, passando da 2,41 componenti nel 2001 a 2,25 nel 2011. La stima è che possa ridursi ulteriormente fino 2,14 componenti al 2020. Aumentano le famiglie unipersonali, che rappresentano oltre un terzo del totale. Dall’ultimo censimento, inoltre, emerge come in Emilia-Romagna siano residenti oltre 82.100 nuclei familiari “monogenitore”, con almeno un figlio minorenne. Di questi, circa 70.550 sono composti da madri sole con bambini e ragazzi. Grava oggi sulle famiglie, strutturalmente più fragili, un impegno sempre più elevato nei compiti di cura, che si riversa particolarmente sulle donne.

La crisi ha prodotto un’ulteriore fragilità nelle famiglie e aumentato le difficoltà, soprattutto per quelle di nazionalità straniera o numerose, con presenza di minori e/o anziani. In base alla spesa per consumi, le famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa nel 2015 rappresentano il 4,8% del totale delle famiglie residenti in regione (in Italia superano il 10%). Negli anni è aumentata sia l’incidenza sul reddito delle spese per l’abitazione, sia il numero di famiglie che incontrano difficoltà a pagare l’affitto (sfratti emessi da circa 3.500 nel 2001 a 6.800 nel 2014, di cui più del 30% per morosità), sia il numero di pignoramenti di case abitate dai proprietari.