La crisi di cui nessuno parla; dal 2008 ad oggi “morti” 514.000 piccoli imprenditori e professionisti

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Osservatorio Partite Iva Lavoratori autonomi
Secondo Confesercenti il calo è stato dell’8,7%, valore che annulla la crescita fatta registrare dai lavori dipendenti nello stesso tempo. Secondo la Cgia la povertà ha colpito più il lavoro autonomo che quello dipendente

cartello partite iva lavoro autonomoEcco un volto della crisi che pochi conoscono e di cui nessuno parla: quello della moria di lavoratori autonomi e della povertà che ha colpito decisamente chi è colpevole di rischiare in proprio.

Partendo dai dati Istat, Confesercenti ha elaborato uno scenario decisamente preoccupante per lo stato dell’economia italiana. «Fino a qualche anno fa, l’Italia era considerata il Paese dei piccoli imprenditori, ma forse, dopo dieci anni di crisi, non è più così. Mentre l’occupazione dipendente è tornata a crescere, raggiungendo e superando i livelli registrati prima della recessione, i lavoratori indipendenti continuano a sparire. Dal 2008 ad oggi abbiamo perso circa 514.000 tra commercianti, artigiani, lavoratori in proprio ed altri professionisti: un calo del -8,7% che annulla di fatto la ripresa registrata dai lavoratori dipendenti nello stesso periodo» afferma la categoria dei piccoli imprenditori. 

Non solo: «un percorso totalmente difforme da quello dell’occupazione dipendente: mentre questa, dopo lo shock iniziale, inverte la tendenza già dal 2011, con un rafforzamento della ripresa a partire dal 2014, i lavoratori indipendenti rimangono invece al palo, diminuendo per quasi tutto il periodo preso in esame. E con la prospettiva di ridursi ancora: nel secondo trimestre del 2017 gli indipendenti sono già a quota 5.363.000, in calo di ulteriori 84.000 unità rispetto allo scorso anno». 

Per Confesercenti «il crollo degli autonomi coinvolge praticamente ogni tipo di profilo professionale. Calano i titolari di attività imprenditoriali in senso stretto (-10.000, per una flessione del 3,2%). Più che decimati anche i lavoratori in proprio, sia con dipendenti che senza, che nel 2017 sono complessivamente 3,182 milioni, sono circa 453.000 in meno (-12,7%) rispetto al 2008. Dall’apocalisse del lavoro indipendente non si salvano nemmeno i coadiuvanti familiari, che si riducono di oltre il 21% per circa 84.000 posti in meno rispetto al periodo precedente alla crisi. Crescono invece – ma appena di 34.000 unità, pari ad una variazione del 2% – le altre categorie: liberi professionisti, soci di cooperativa e collaboratori». 

«Dai dati emerge con chiarezza la situazione di crisi in cui si trova ancora gran parte del tessuto imprenditoriale italiano. Una crisi così forte da annullare gli ottimi progressi ottenuti sul fronte dell’occupazione dipendente – commenta Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti -. Ditte individuali, piccoli imprenditori e lavoratori in proprio hanno sempre caratterizzato fortemente la nostra economia e, nonostante il calo, gli indipendenti costituiscono ancora circa un terzo (30,3%, era il 34,1% nel 2008) del lavoro italiano, responsabile del 20% circa del nostro Pil». 

«Nonostante l’evidente importanza “sistemica” degli indipendenti, però, si registra la mancanza di un piano di intervento per il loro rilancio occupazionale: sono forse figli di un dio minore. Ed anche il “JobsAct”, il più importante intervento sul lavoro degli ultimi due anni, li esclude. Eppure ci sono migliaia di lavoratori indipendenti che hanno interrotto nel corso di questi anni le loro attività e non hanno potuto contare su alcuna forma di protezione sociale e di sussidio contro il rischio della disoccupazione. Una crisi nella crisi, rimasta costantemente nell’ombra, offuscata dai successi ottenuti sul campo dell’occupazione dipendente grazie ad uno straordinario impegno normativo, culminato proprio con “JobsAct” e decontribuzione». 

«Già da qualche anno – conclude Bussoni – chiediamo che venga messo in campo un “JobsAct” anche per loro: la nostra proposta è di creare un Testo Unico del Lavoro Indipendente, che preveda – fra gli interventi più urgenti – tassazione e contribuzione agevolata per i primi tre anni di attività delle nuove imprese, tutele del reddito in caso di inattività temporanea o di cessazione di attività per crisi di mercato. Ma serve anche uno sforzo in più per la formazione continua, assolutamente necessaria in un mondo sempre più competitivo, dove chi si improvvisa dura poco. Tutti interventi che riteniamo vitali per il mantenimento ed il rilancio dell’occupazione indipendente: imprese individuali, ditte e lavoratori in proprio non sono un retaggio del passato, ma un settore su cui scommettere anche per il futuro: le nuove tecnologie, infatti, rendono ormai possibile anche per i piccolissimi competere con successo, con il giusto know-how, persino oltre i confini nazionali». 

A preoccupare è anche il livello di redditualità del lavoro autonomo: secondo l’Associazione artigiani di Mestre le famiglie che vivono grazie ad un reddito da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà. Nel 2015, il 25,8% dei nuclei familiari di questa categoria è riuscita a vivere stentatamente al di sotto della soglia di rischio povertà calcolata dall’Istat. Praticamente una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica. 

Per i nuclei in cui il capofamiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio si è attestato al 21%, mentre per quelle che vivono con un stipendio/salario da lavoro dipendente il tasso si è fermato al 15,5% (Tab.1). In buona sostanza, i dati presentati dall’Ufficio studi della Cgia dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva: ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.

«A differenza dei lavoratori subordinati – fa notare il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo  – quando un autonomo chiude definitivamente l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero».

Secondo Zabeo «fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol. L’opinione pubblica collocava questo neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente».

L’avvento della crisi ha colto questi indipendenti del tutto impreparati e solo qualche mese fa si è arrivati finalmente all’approvazione dello Statuto del lavoro autonomo che ha introdotto una serie di diritti fortemente richiesti dalla categoria.

Sempre tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno, a livello territoriale il popolo delle partite Iva ha segnato la contrazione più marcata in Emilia Romagna (-12,7%), in Calabria (-12%), in Liguria e in Abruzzo (entrambi i casi con una riduzione del 10,4%). La ripartizione geografica più colpita da questa moria, invece, è stata il Mezzogiorno (-7%) (Tab. 3).  

Infine, il reddito delle famiglie con fonte principale da lavoro autonomo ha subito in questi ultimi anni (2008-2014) una “sforbiciata” di oltre 6.500 euro (-15,4%), mentre quello dei dipendenti è rimasto quasi lo stesso (-0,3%). In aumento, invece, il dato medio dei pensionati e di quelle famiglie che hanno potuto avvalersi dei sussidi (di disoccupazione, di invalidità e di istruzione) che sono stati erogati ai nuclei più in difficoltà (+8,7%, pari a +1.941 euro) (Tab.4).tabelle cgia lavoratori autonomi