Dalle temperature ai ghiacciai la ricerca racconta un clima che cambia

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Stelvio 2010 ghiacciaio ortles
Alla Fbk di Trento convegno sugli effetti del riscaldamento globale in Trentino

Stelvio 2010 ghiacciaio ortlesIl clima cambia, anche in Trentino: dalle temperature alle precipitazioni, dalla neve ai ghiacciai, i dati scientifici raccolti in tutti gli ambiti connessi con questa problematica davvero globale, oltre che epocale, mostrano che anche qui, come nel resto delle Alpi, gli effetti del riscaldamento del pianeta si fanno sentire. Se ne è parlato alla Fondazione Bruno Kessler (Fbk) in un convegno promosso dagli enti che aderiscono all’Osservatorio Trentino sul Clima e che si occupano di ricerca e monitoraggio del territorio. 

Durante la conferenza, sono stati presentati i risultati dei principali studi svolti grazie anche al supporto del Fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile e per la lotta ai cambiamenti climatici dell’Assessorato alle Infrastrutture e all’Ambiente. Un dato su tutti: nell’arco degli ultimi decenni la temperatura è cresciuta di circa un grado, che diventano due gradi se prendiamo come riferimento il periodo preindustriale. Due anche le evidenze principali rispetto ad altre fasi storiche. l’accelerazione del cambiamento e l’incidenza del fattore umano. 

Gli effetti principali si vedono nel ritiro dei ghiacciai, nell’anticipo delle fioriture, nella diminuzione delle giornate di gelo, ma anche altri ambiti, come quello dell’agricoltura devono fronteggiare fenomeni imprevisti, come l’arrivo di nuovi parassiti. 

L’Osservatorio Trentino sul Clima è costituito dal Dipartimento Protezione civile, che svolge il ruolo di coordinamento, dall’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente, dalla Fondazione Bruno Kessler, dalla Fondazione Edmund Mach, dal Dipartimento ingegneria civile ambientale e meccanica dell’Università di Trento, dal Museo delle scienze e dal Comitato glaciologico della Sat.

Annapaola Rizzoli, dirigente del Centro ricerca e innovazione della fondazione Mach e parte del nucleo originario di quello che è diventato una vera e propri rete di ricerca fra gli istituti del Trentino e un hub da cui aprire il territorio a tutte le collaborazioni internazionali sul tema, ha ricordato come le Alpi rappresentino uno straordinario laboratorio a cielo aperto per lo studio del fenomeno. «Noi siamo privilegiati perché viviamo in un sistema alpino che ancora apporta al clima dei benefici importanti in termini ecosistemici – ha ricordato Rizzoli -. Ma anche qui dobbiamo fronteggiare cambiamenti importanti, che investono la stessa sfera economica. Pensiamo ad esempio all’arrivo di nuovi insetti che minacciano le colture. Dobbiamo quindi cercare di governare l’impatto di queste problematiche, ma al tempo stesso anche mettere a fuoco prospettive e opportunità che si aprovo sul versante pubblico e privato».  

«Il clima sta cambiando con impatti significativi su tutte le Alpi e anche in Trentino ed è urgente un’azione responsabile da parte di tutti» ha detto Roberto Barbiero del Dipartimento Protezione civile della provincia di Trento, sottolineando il ruolo dell’informazione e della comunicazione sul tema e quindi l’importanza del contributo fornito dall’Osservatorio Trentino sul Clima. Dopo aver ricordato il percorso effettuato dalla Provincia in questi anni e le strategie adottate per affrontare il tema dei cambiamenti climatici, Barbiero ha richiamato l’attenzione sulla necessità di un’ azione più efficace e rapida  che coinvolga tutti gli attori, dall’amministrazione pubblica al mondo della ricerca,  dalle imprese a tutti i cittadini.

Le temperature anche in Trentino sono aumentate nell’ultimo secolo con un segnale che si è accentuato negli ultimi 30 anni, ha detto Emanuele Eccel della Fondazione Edmund Mach. In generale dal trentennio 1961-1990, periodo di riferimento per la climatologia, le temperature medie annue sono cresciute di circa +1,0°C con un contributo più marcato in estate e primavera.

Preziose informazioni giungono dall’analisi della serie storica delle temperature di Trento, ricostruita dal DICAM dell’Università di Trento grazie ad un prezioso lavoro di raccolta e analisi dati recuperati da archivi conservati presso le biblioteche. L’analisi della serie storica dal 1861 al 2016 ha evidenziato un progressivo aumento della temperatura media a Trento nei 200 anni, confermando la fase più intensa negli ultimi decenni. L’aumento di temperatura media annua rispetto al periodo pre-industriale 1850-1899 è di +1,9°C con contributi al riscaldamento in tutte le stagioni ma più marcato in estate e pari a +2.4°C.

Più in generale in Trentino sono aumentate le ondate di calore mentre il numero di giorni di gelo è diminuito, ma non il rischio da gelata, in quanto anche la vegetazione ha anticipato sensibilmente la fioritura. Le temperature massime sono aumentate in gran parte delle stazioni più delle minime e l’aumento di temperatura è stato più accentuato nelle stazioni di bassa altitudine.

Meno evidenti sono invece le modifiche del regime delle precipitazioni che negli apporti medi annui sono rimaste mediamente costanti mentre alcune modifiche emergono a livello stagionale: si osserva infatti un segnale di aumento in autunno e un lieve calo in primavera, mentre inverno ed estate non presentano trend significativi.

Si osserva una tendenza all’aumento della quota del limite delle nevicate che si traduce in un comportamento diverso nel tempo degli apporti tra le quote superiori e inferiori. Le precipitazioni nevose in quota non evidenziano infatti un segnale di trend, in coerenza con l’andamento delle precipitazioni invernali in generale, ma mettono in evidenza una maggiore variabilità degli ultimi 10 anni circa con i due evidenti estremi osservati nella stagione 2013-14 e 2008-09 risultate le stagioni più nevose degli ultimi 35 anni circa.

L’andamento delle nevicate a bassa quota è ben evidenziato dallo studio delle nevicate a Trento dal 1920 al 2017 presentato da Alberto Trenti di Meteotrentino. Dal 1920 ad oggi solo due inverni sono stati del tutto privi di neve in città, il 1923 e il 2002; mentre i più nevosi in assoluto sono stati il 1985 (230 cm in tutta la stagione), il 1978 (170 cm) e il 1947 (150 cm). La nevicata più copiosa è stata quella storica del gennaio 1985 quando in cinque giorni consecutivi sono caduti ben 165 cm di neve fresca, mentre il singolo giorno in cui è nevicato di più è stato il 28 gennaio 2006 quando sono caduti 65 cm di neve.

Dall’analisi climatica dei dati raccolti nell’ultimo secolo emerge chiaramente un sensibile calo della nevosità a Trento negli ultimi 30 anni, con una perdita di circa il 35% rispetto ai periodi precedenti. Questa riduzione è da imputarsi al fatto che la temperatura media invernale è aumentata di circa un grado mentre non è cambiata la quantità delle precipitazioni invernali, che in città si stanno quindi manifestando sempre più in forma liquida (pioggia) piuttosto che solida (neve).

Tra gli effetti più evidenti del riscaldamento in atto, ha spiegato Christian Casarotto del MUSE, emerge il progressivo ritiro dei ghiacciai in corso ormai sin dalla seconda metà del 1800, alla fine dell’ultima importante fase di avanzata dei ghiacciai nota come “Piccola Età Glaciale” (PEG).

L’attuale ritiro glaciale si è accentuato negli ultimi decenni e non sembra volersi attenuare. Oggi, in Trentino, l’estensione glaciale è di 32,2 km2, il 28,5% di quella presente nel massimo della PEG, pari a 112,8 km2. Da una riduzione percentuale media annua di 0,48 nel periodo PEG-1958, nel decennio 2003-2013 si è passati a perdere 3 volte il ghiaccio che si perdeva prima (1,79% annuo).

Il gruppo montuoso che ha fatto registrare la maggiore contrazione areale, rispetto alla superficie presente nel massimo della PEG, è stato quello delle Dolomiti di Brenta (-86,5%), seguito dagli altri due gruppi montuosi dolomitici delle Pale di San Martino (-82,1%) e della Marmolada (-74,9%). Quello che invece ha visto i ghiacciai contrarsi di meno è il Gruppo dell’Adamello (-64,7%).

E quest’anno? I ghiacciai per sopravvivere hanno bisogno di neve e di temperature estive sufficientemente miti per poterla conservare e permettergli di trasformarsi in ghiaccio; cosa che avviene in 3-5 anni. L’ultimo inverno ha portato sui ghiacciai una scarsa copertura nevosa, in media di 2 metri, che nella prima parte di un’estate ancora molto calda era già praticamente scomparsa. A stagione estiva ormai conclusa si registrano perdite di spessori anche di 5 metri di ghiaccio.

La comprensione dei cambiamenti climatici passa anche attraverso un’accurata conoscenza del passato tramite lo studio di preziosi archivi naturali, come raccontato da Antonella Cristofori della Fondazione Mach, impegnata nel progetto POLLiCE (POLLen in the iCE) che mira ad estrarre ed analizzare le informazioni relative a biodiversità e clima presenti nel ghiacciaio dell’Adamello. Nella carota di ghiaccio prelevata nel 2015 (5 m) sono stati trovati numerosi tipi pollinici, con DNA ben conservato e segnali stagionali con isotopi stabili. La perforazione del 2016 ha permesso di raggiungere una profondità di 45 m, e le attività di ricerca sulla carota estratta sono da poco iniziate. È in programma, al più presto, il carotaggio profondo (270 m) del ghiacciaio. L’analisi dell’intero spessore del ghiacciaio porterà a scoprire le relazioni tra variazioni di clima e biodiversità di buona parte dell’ultimo millennio.