Autonomia: secondo l’Ufficio studi del Senato il referendum non vincola la concessione

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referendu urna si no
Solo con intesa con governo e ddl scattano le misure ex art. 116 Costituzione

referendu urna si noSarà la prima volta nella storia della Repubblica in cui i cittadini saranno chiamati a decidere, attraverso referendum consultivo, se desiderano una maggiore autonomia per la loro Regione. Il referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto è finito sotto la lente del Servizio studi del Senato e attraverso l’analisi del dipartimento di Palazzo Madama emerge la netta differenza tra la consultazione del 22 ottobre e quella tenutasi in Catalogna.

Il referendum, spiega il Servizio studi, si inscrive nei contorni dell’art. 116 della Costituzione che prevede la possibilità per le regioni di negoziare con il Governo “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Condizioni che, tuttavia, per il quale il referendum non è né vincolante né strumento automatico per la loro attivazione. A optare per la consultazione sono infatti le Regioni in maniera discrezionale mentre la procedura per aumentare le forme di autonomie è separata dal referendum e prevede l’iniziativa della Regione – che va portata al presidente del Consiglio e al ministero degli Affari regionali – e la consultazione obbligatoria degli enti locali. Solo successivamente si arriva all’intesa tra Regioni interessate e Governo che deve attivarsi sull’iniziative delle prime entro 60 giorni dal loro ricevimento. 

Anche l’avvio dei negoziati non conduce ad una certezza della maggiore autonomia: l’ufficio Studi sottolinea infatti come «non sussista alcun obbligo» per i due negoziatori, di concludere l’intesa. In caso di esito positivo l’intesa va recepita in un apposito disegno di legge la cui iniziativa, si osserva nella relazione, spetterebbe al governo nel rispetto della «leale collaborazione» con le Regioni. Per l’approvazione del ddl, inoltre, serve la maggioranza assoluta delle Camere.

Ad essere oggetto di un’eventuale procedura per una maggiore autonomia delle Regioni interessate sono, si legge nella relazione del Senato, «tutte le materie di potestà legislativa concorrente» e, nell’ambito delle materie di potestà legislativa esclusiva statale, «l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Il ddl con il quale scatterebbero le misure deve invece rispettare alcuni paletti e in particolare, il contenuto dell’intesa governo-Regioni e i principi ex art.119 della Costituzione a partire dal «rispetto dell’equilibrio di bilancio e l’obbligo di concorrere all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Secondo l’Servizio studi, inoltre, la dottrina permetterebbe che l’ulteriore autonomia sia data «a termine» anche per verificare la sua efficacia. La relazione torna poi sulla sentenza – pronunciata solo sul Veneto – della Corte Costituzionale che nel 2015 ha dato l’assenso al referendum: la Consulta, in particolare, ha ammesso solo uno dei quesiti posti al suo esame – “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?” – bocciando quello in cui veniva chiesto all’elettore un sì o un no all’“indipendenza sovrana” della Regione Veneto. Una domanda, quest’ultima, che «riguarda scelte fondamentali di livello costituzionale, come tali precluse ai referendum regionali e che suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 della Costituzione», spiega la Corte nella sentenza riportata dal Servizio studi del Senato. Da qui, anche, la marcata differenza tra la consultazione lombardo-veneta del 22 ottobre e quella catalana.