Il procuratore Cappelleri ritiene colpevoli, oltre a Gianni Zonin, Samuele Sorato, Giuseppe Zigliotto, Emanuele Giustini, Andrea Piazzetta, Paolo Marin e Massimiliano Pellegrini.
A due mesi dalla conclusione delle indagini preliminari è arrivata la chiamata a giudizio per i presunti responsabili del crac della Banca Popolare di Vicenza che ha travolto migliaia di risparmiatori.
La Procura berica ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex presidente Gianni Zonin e per altri sei ex dirigenti della BpVi, al termine dell’inchiesta per aggiotaggio, ostacolo alle attività di vigilanza e falso in prospetto. Con Zonin, spiega il Procuratore Antonio Cappelleri, è stato chiesto al gip di processare l’ex ad e dg dell’istituto, Samuele Sorato, l’ex consigliere, Giuseppe Zigliotto, l’ex vice dg responsabile della divisione mercati, Emanuele Giustini, l’ex vice dg dell’area finanza, Andrea Piazzetta, l’ex vice dg della divisione crediti, Paolo Marin, e il dirigente proposto alla redazione dei documenti contabili, Massimiliano Pellegrini. Zonin e i sei ex dirigenti della banca sono indagati per ostacolo all’attività di vigilanza, aggiotaggio e falso in prospetto. Per i primi due reati viene chiamata in causa anche la banca in liquidazione coatta, indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Per quanto riguarda l’aggiotaggio, agli indagati viene contestato di aver diffuso «notizie false» e posto in essere «operazioni simulate ed altri artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione delle azioni Bpvi» e «ad incidere in modo significativo sull’affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale» della banca.
Sotto accusa la prassi dei finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione delle azioni emesse dalla banca «per un controvalore complessivo di circa 963 milioni di euro», spesso accompagnati dall’impegno al riacquisto delle azioni, senza aver iscritto al passivo dello stato patrimoniale un’analoga riserva indisponibile per il “finanziamento” del proprio capitale. Una prassi non comunicata al mercato, destinatario dunque di «notizie false», veicolate nei bilanci e nei comunicati stampa, in merito alla «reale entità del patrimonio» e della «solidità» della banca, nonché alla «crescita progressiva della compagine sociale» e «al buon esito delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e del 2014».
L’accusa di ostacolo all’attività di vigilanza deriva invece dall’aver nascosto alla Banca d’Italia l’esistenza di finanziamenti a terzi per acquistare azioni Bpvi e di lettere d’impegno al riacquisto delle azioni, nonché dall’aver comunicato in più occasioni un patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, fino a un massimo di 963 milioni di euro, oltre all’aver taciuto una serie di comunicazioni sul capitale “finanziato”. Infine il falso in prospetto è legato ai documenti per gli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 in cui, occultando il fenomeno del capitale “finanziato”, non si dava conto della reale situazione patrimoniale della banca né della reale liquidità del titolo.