Demenze nuovo caso ogni 3,2 secondi, il 21 settembre Giornata mondiale Alzheimer

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In Italia oltre 1 milione di malati, destinati a raddoppiare entro il 2050

alzheimer graficaCon un nuovo caso ogni 3,2 secondi e circa 9,9 milioni di nuovi casi l’anno nel mondo, le demenze (di cui l’Alzheimer costituisce la forma più diffusa) costituiscono sempre più un problema sociale, economico e di salute pubblica.

Per ricordare e informare su questa emergenza crescente, sensibilizzando le istituzioni e l’opinione pubblica, il 21 settembre si celebra per la ventiquattresima volta in tutto il mondo, la Giornata mondiale dell’Alzheimer. Rappresenta il culmine del Mese Mondiale Alzheimer, ideato da ADI – Alzheimer’s Disease International (la federazione internazionale delle 84 associazioni Alzheimer nazionali che supportano le persone con demenza e i loro familiari nei rispettivi Paesi). 

Le demenze saranno al centro dei lavori in un convegno a Milano, promosso dalla Federazione Alzheimer Italia dal titolo, “Dall’assistenza all’inclusione: come superare lo stigma della demenza”, per dare voce a ricerca, famiglie e comunità amiche. L’incontro è dedicato alle demenze nel loro complesso, dalla ricerca all’assistenza. L’obiettivo principe di questa e di tutte le iniziative di Adi è «mettere in primo piano la persona con demenza e le sue esigenze, la sua qualità di vita insieme alla sua famiglia», spiega Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia. E sempre in occasione della giornata Airalzh Onlus, Associazione Italiana Ricerca Alzheimer, presenta i primi risultati delle ricerche ottenuti dalla rete di giovani scienziati che hanno lavorato in 25 centri di eccellenza – distribuiti in 14 regioni italiane – grazie agli assegni erogati da Coop nel 2016 e banditi dall’Università degli Studi di Firenze. 

«Si è sempre più vicini a disporre di un pacchetto di esami per la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, la forma più diffusa di demenza senile (rappresenta il 50-60% di tutti i casi): un set di esami che comprenderanno da semplici prelievi di sangue a esami della retina e altri tessuti e esami di imaging (risonanza, pet) – riferisce Stefano Cappa, direttore scientifico dell’IRCSS San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia – e la reale applicabilità di questo pacchetto dipenderà dalla disponibilità di farmaci contro la malattia», farmaci ad oggi ancora non disponibili. Per Cappa si punterà a un set di esami: del sangue (per cercare molecole presenti solo nel plasma di chi è destinato ad ammalarsi anche 10-20 anni dopo), o della retina e di altri tessuti alla ricerca di anomalie predittive, fino a un software, il cui prototipo è stato messo a punto all’Università di Bari, in grado di predirla guardando le immagini fornite dalla risonanza del cervello di un individuo. A chi ha un rischio certo di malattia (perché con malati in famiglia) saranno proposti esami quali la tomografia (PET, più costosa e non utilizzabile sulla popolazione generale) e l’esame del liquido cerebro-spinale (invasivo).

Sono oltre un milione gli italiani che soffrono di una qualche demenza (circa 600.000 soffrono di morbo di Alzheimer) e a causa dell’invecchiamento del Bel Paese si avrà un aumento dei casi del 50% nei prossimi 20 anni e un raddoppio dei casi entro il 2050. Si stima che l’aspettativa di vita di un paziente con demenza sia in media dimezzata rispetto all’aspettativa di un coetaneo sano. Inoltre, sono circa 3 milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza ai loro cari con demenza. 

I soli costi annuali diretti per ciascun paziente vengono, in diversi studi europei, stimati in cifre variabili da 9.000 a 16.000 euro a seconda dello stadio di malattia. Stime sui costi socio-sanitari delle demenze in Italia ipotizzano cifre complessive pari a circa 10-12 miliardi di euro annui, e di questi 6 miliardi per la sola malattia di Alzheimer. 

«Si tratta di cifre significative – sottolinea Stefano Govoni dell’università di Pavia – soprattutto se si pensa che ad oggi ancora non disponiamo di terapie risolutive. In questo momento gli anticorpi contro il peptide beta amiloide (primo indiziato tra i presunti colpevoli dell’Alzheimer) che sono stati oggetto di tanti studi clinici a mio modo di vedere non hanno raggiunto esiti clinici apprezzabili e i benefici per i pazienti, sin qui osservati, sono davvero molto modesti». 

«Per arrivare a dei farmaci veramente efficaci – spiega Cappa – è probabilmente essenziale un cambio di paradigma perché l’Alzheimer va visto come un problema di natura complessa e multifattoriale, con un ruolo importante di processi infiammatori, problemi vascolari, condizioni sociali, livello di istruzione e stili di vita, oltre che di fattori molecolari (l’accumulo di beta-amiloide nel cervello) su cui si lavora da tempo».