Il governo valuta l’assunzione di 500.000 giovani in 4 anni per sostituire i pensionamenti. Cgia in allarme: «prima di fare nuove spese, la pubblica amministrazione paghi i suoi debiti verso i fornitori»
C’è aria di elezioni (si voterà al più tardi a marzo-aprile del prossimo anno) e quale migliore ingrediente per ingraziarsi il voto che promettere posti di lavoro e aumenti generalizzati di stipendio? Una ricetta vecchia come Matusalemme, ma che ha sempre presa agli occhi di una larga fascia di elettorato abituato a votare con la pancia più che con la testa.
Via libera, quindi, ad una maxi infornata di nuovo personale pubblico ad ogni livello di pubblica amministrazione, centrale e periferica: qualcosa come 500.000 nuovi posti di lavoro che si verrebbero a creare nell’arco di una legislatura, sbloccando le assunzioni congelate dal 2010 e per ringiovanire il personale in occasione del pensionamento di circa un altro mezzo milione di persone. Una bella occasione per rinfrescare il moloch costituito dai 3.015.000 dipendenti pubblici in servizio permanente, già in sovrannumero rispetto alla loro produttività e alle effettive esigenze di un apparato che non si riesce a fare dimagrire per mancanza di volontà, politica prima di tutto.
Nella pubblica amministrazione, in particolare quella ministeriale, attualmente un dipendente su cinque ha più di sessant’anni e difficilmente è in possesso di quell’elasticità operativa e cognitiva indispensabile con l’impiego delle nuove tecnologie. Da ambienti ministeriali si parla di voler cogliere l’occasione dei pensionamenti per attuare la riforma (semiabortita) “Madia” per portare l’innovazione nel comparto della pubblica amministrazione, magari attraverso lo strumento del concorso unico, da cui poi le amministrazioni interessate potrebbero attingere per soddisfare i propri bisogni di personale.
Comunque, non basta il colpo di bacchetta per aprire la borsa dei posti di lavoro: c’è lo scoglio dei costi da sostenere visto che, nonostante il blocco delle assunzioni, il conto complessivo è pressoché stabile: si è passati dai 169,9 miliardi di euro del 2001 ai 164,1 del 1016, con una limatura del 3,3%. Probabilmente, con il pensionamento di figure all’apice della carriera e con le nuove assunzioni ai primi livelli si otterranno cospicui risparmi, ma risparmi ancora maggiori si otterrebbero facendo dimagrire realmente il corpaccione dello Stato in tutte le sue molteplici sfaccettature, tagliando con decisione quell’opprimente burocrazia che grava sulle Pmi italiane per qualcosa come 5.000 euro in media all’anno, secondo un’analisi effettuata dalla Cna.
Intanto, il governo Gentiloni dovrà confrontarsi anche con la stabilizzazione della “mancia Renzi”, i famosi 80 euro erogati a coloro che guadagnano meno di 24.000 euro lordi all’anno, che sono costati pacchi dimiliardi di euro ma che non hanno avuto l’effetto di rilanciare l’economia nazionale. Per l’amministrazione centrale l’obiettivo di garantire 85 euro medi di aumento senza rimettere in discussione la geografia attuale degli 80 euro targati Renzi costa fino a 1,5 miliardi di risorse fresche e copertura analoga andrà trovata in sanità, regioni ed enti locali. Una coperta troppo corta per coprire tutte le necessità.
Sullo scenario di una nuova infornata di assunzioni interviene anche il mondo produttivo: «prima di dar luogo a nuovi assunzioni – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre, Paolo Zabeo – la pubblica amministrazione azzeri i debiti commerciali contratti con le aziende fornitrici che, secondo le stime della Banca d’Italia, ammontano a 64 miliardi di euro, di cui 34 ascrivibili ai ritardi nei pagamenti. Una piaga, quella dei mancati pagamenti, che, purtroppo, continua a mettere in difficoltà moltissime imprese private soprattutto di piccola dimensione. A causa dei mancati pagamenti della pa – prosegue Zabeo – negli ultimi anni sono state migliaia e migliaia le imprese private che lavorano per lo Stato ad essere state costrette a licenziare una parte dei dipendenti perché non in grado di sostenerne i costi. Quindi, prima di lanciare promesse dal vago sapore elettorale, sarebbe bene conoscere e risolvere i danni che causa la Pa al sistema privato che, in termini economici, non ha eguali nel resto d’Europa».