La Biennale Teatro di Antonio Latella

0
516
biennale teatro
Fa riflettere e discutere la nuova edizione del festival teatrale

Di Giovani Greto 

biennale teatroCome consuetudine, anche quest’anno la XLV edizione del Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia si è svolto nel segno della ricerca. Così si è espresso il presidente Paolo Baratta nell’introduzione al catalogo: «con Antonio Latella (il direttore artistico, ndr) stiamo operando in un orizzonte temporale di quattro anni, secondo indicazioni programmate. Non è un caso che il programma di quest’anno si intitoli “Atto primo: Regista”». 

L’assenza dell’articolo determinativo nel titolo sta ad indicare che Regista non necessita di alcun articolo per avere un’identità di genere. L’edizione da poco conclusa ha però ospitato esclusivamente lavori di donne, forse perché, come scrive Latella nel catalogo, «il mondo della regia appartiene oggi alle signore del teatro, le quali hanno cercato di creare nuove lingue di racconto, nuove grammatiche, nuovi alfabeti, che pur sradicando i precedenti, sanno essere lingua che parla, sanno essere teatro».

Chi scrive ha assistito a spettacoli di quattro delle sette registe invitate. Maria Grazia Cipriani ha presentato tre lavori «ispirati a fabulae, significativi per l’evolversi del percorso di studio affrontato negli anni». L’ultimo allestimento, “Le Mille e una notte” (2014), è un labirinto da cui da una storia si passa ad un’altra, con canti e poesie che fanno da cornice ad un gioco meta-teatrale di incastri che raccontano l’eterna odissea della supremazia maschile sulla donna. La narrazione di Shahrazad, condannata a morte dal sultano Shahriyak, che uccide una dopo l’altra le sue mogli per vendicarsi dell’infedeltà della prima, viene trasportata in un presente riconoscibile con riferimenti continui, drammaturgici e scenici, spesso crudi, alla piaga della violenza sulle donne.

Anna-Sophie Mahler, regista di prosa e di opera ha presentato il suo ultimo lavoro “Alla fine del mare” (2017). Lo spettacolo trae spunto da motivi tratti dal film “E la nave va” (1983) di Federico Fellini per rappresentare la contemporaneità in maniera simbolica, dipingendo una comunità incapace di istituire un dialogo con l’altro da sé. I protagonisti sono i membri di un coro lirico in decadenza, visione metaforica dell’Europa di oggi tristemente chiusa e disumana, destinata prima o poi a un naufragio catastrofico, quanto prevedibile. Gli europei in costumi sfarzosi cantano note arie di opere liriche, mentre gli stranieri – nei panni di tre camerieri – possono “solo” parlare. Questo scarto sancisce l’incomunicabilità assoluta tra le due parti. Ottima la prestazione sia canora, che attorale della soprano giapponese Yanagihara Yuka, la quale si spoglia, si riveste e mangia in maniera clownesca una fetta di torta supercremosa, suscitando l’ilarità della platea del teatro Piccolo Arsenale.

I due lavori delle olandesi Suzan Boogaerdt e Bianca van der Schoot, “Bimbo” (2011) e “Hideous (Wo)men (2013), fanno parte di una serie, “Visual Statement”, che consiste in vari spettacoli ed installazioni sul tema della “societè du spectacle” e sul ruolo della cultura dell’immagine nella vita odierna. “Bimbo” è un’installazione al tempo stesso videomusicale e incubo che denuncia una condizione  femminile brutalizzata. Cinque performer in scena costruiscono una muta coreografia nella quale la frenesia dei corpi, la meccanicità dei movimenti, l’utilizzo di maschere che imprigionano i sorrisi in paresi di plastica, sembrano mostrare la ricerca di un piacere fisico nel suo aspetto più esteriore e televisivo, restituendo un’immagine di donna alienata e robotizzata, resa schiava dall’apparire, cibo da consumare, carne marcia. Il pubblico segue lo spettacolo seduto su panche, con il camerino alle spalle, a guardare la performance su schermi al plasma che per lo più mostrano corpi di donna (“Bimbo” in slang significa “bellona”) e deve scegliere quale realtà guardare. «Abbiamo realizzato “Bimbo” – spiegano le registe ed interpreti – spinte dalla nostra profonda preoccupazione per la smisurata influenza che l’immaginario dell’irrealtà sta avendo sulla nostra società, sull’immagine che la società ha rispetto alla donna e, in definitiva, sull’immagine che le donne hanno di loro stesse». “Hideous (Wo)men” è una telenovela creata dal vivo, collocata in uno studio televisivo, e pensata come vero e proprio laboratorio sociale, dove si muovono personaggi alla ricerca di un’identità. C’è un palco girevole che con il suo lento mutare di scena ottiene l’effetto di un loop ipnotico e inquietante allo stesso modo dei personaggi iperrealistici, che indossano maschere di lattice alla Barbie e Ken muovendosi sul palco, tutti presi da un bulimico ripetersi di azioni e dialoghi : il deserto del reale, secondo le autrici.

“Bimbo” mette a dura prova la resistenza e la salute dello spettatore. Una colonna sonora ostinatamente techno e inquadrature “pornografiche” potrebbero causare fastidio a chi è meno accostumato alla sgradevolezza quotidiana.

“Und dann” (E poi), un testo di Wolfram Holl messo in scena da Claudia Bauer, è un lavoro fortemente incentrato sul linguaggio frammentario, ripetuto, onirico, di bambini. Il tema fondamentale è quello dell’infanzia tradita. La Bauer si dedica al teatro delle maschere perché ha sempre considerato un arricchimento lavorare con marionette, maschere e cori. L’io narrante ha all’incirca cinque anni e ricorda, ripetendo frasi circolarmente con un senso di crescente inquietudine, episodi che lo hanno spaventato, trasformandosi in incubi: i campanelli di casa troppo alti, con targhette e nomi illeggibili che si trasformano in cattivi coleotteri neri che spiccano il volo, mentre la radiotrasmittente del padre diventa al buio una bestiaccia con gli occhi lampeggianti. E tutto ciò sullo sfondo della caduta della Germania dell’Est, della disoccupazione del padre e della madre scomparsa in circostanze misteriose. «Il padre e i due figli vivono ammutoliti la loro quotidianità – spiega la regista – avvolti nei loro ricordi della DDR e della madre, schiacciati dalle nuove sensazioni che irrompono nella loro vita. A causa della pesantezza delle maschere, gli attori si muovono come palombari silenziosi, galleggiando in un mondo nuovo, a loro sconosciuto». Il pubblico segue in silenzio e s’immedesima nella sofferenza del protagonista. 

Più lungo e più recitato, “Der Menschen feind” (Nemico dell’uomo), del drammaturgo e musicista Peter Licht, è un adattamento del “Misantropo” di Moliere. Del disilluso protagonista, Alceste, Licht raccoglie gli aspetti di natura sociale, gli equivoci della lingua, indagando anche le derive del capitalismo e la scoperta di sé. Alceste analizza tutto con grande lucidità e tuttavia non riesce a dimenticare il suo grande amore, la regina dello “specchio, specchio delle mie brame”. «Tutti i personaggi sembrano marionette prive di volontà, che credono ancora di essere libere, non percependo i fili ai quali sono appese. La recitazione, velocissima, non aiutata da una sincronicità dei sopratitoli, spesso lacunosa, ha provocato nell’ascoltatore non accostumato alla lingua tedesca la perdita del ritmo e dell’espressione dei bravissimi personaggi». 

Infine, le ultime due giornate del festival sono state dedicate agli esiti dei laboratori di Biennale College: sette brevi performance, ispirate ad un unico motivo proposto dal direttore. «Focalizzando la nostra attenzione sulla figura della donna, abbiamo chiesto a tutti i maestri del nostro College di identificare un’artista, donna, operante dalla seconda metà del Novecento misteriosamente scomparsa, e di mettere una lente di ingrandimento là dove si possa vedere qualcosa che per troppo tempo è rimasto nascosto, o volutamente tenuto sotto silenzio». Per chi scrive, il pezzo più convincente – per la durata, come tutti, dai venti ai venticinque minuti – è stato quello dedicato alla cantante Amy Winehouse, una canzone della quale, “You Know I’m no good”, ha dato il titolo ad una lunga rappresentazione pomeridiana. 

In bocca al lupo ai giovani attori in fieri e un augurio di poter diventare, senza fretta, un bravo, ma soprattutto onesto, professionista dello spettacolo.