Ius soli non si legifera sull’onda delle emozioni

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Ciambetti: «lo scenario evocato da Papa Francesco avrebbe conseguenze abnormi sulla nostra società» 

Di Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto

corteo immigrati milano ius soliJorge Mario Bergoglio, sebbene nato in Argentina, ha il diritto alla cittadinanza italiana, visto le incontestabili origini della sua famiglia. Ciò è conseguenza dello “ius sanguinis”, vigente in Italia introdotto nel nostro ordinamento anche come strumento di tutela dei nostri emigranti all’estero: i discendenti di cittadini italiani che vivono in paesi stranieri hanno il diritto di acquisire la cittadinanza e con essa tutte le tutele e i diritti del caso.

Introducendo lo “ius soli”, nella forma in discussione al Parlamento, lo scenario porterebbe a conseguenze abnormi, come ha già spiegato Cristina Ravaglia, Ambasciatrice a riposo ed ex direttrice generale per l’Emigrazione e gli Italiani all’estero della Farnesina, una delle massime esperte italiane in materia di concessione di cittadinanza ai richiedenti all’estero. Applicando la regola dello “ius sanguinis”, spiega l’ambasciatrice Ravaglia, anche agli italiani diventati tali perché nati in Italia (cioè in virtù dello “ius soli”) automaticamente il diritto alla cittadinanza si estenderebbe anche a loro parenti e discendenti nati e vissuti all’estero, in un numero oggi non quantificabile. Quanti cittadini avrebbe l’Italia? Sommando “ius sanguinis” con lo “ius soli” non possiamo saperlo, né prevederlo.

Già oggi possiamo però fare delle previsioni abbastanza accurate relativamente all’andamento dell’ampliamento della cittadinanza italiana a normativa vigente: tra il 2012 e il 2015 in Italia sono state accolte 376.000 richieste di cittadinanza. Queste nuove cittadinanze sono state concesse a cittadini che risiedevano in Italia da almeno una decina d’anni visto che, nel nostro Paese, per ottenere la cittadinanza servono almeno quattro anni di residenza per cittadini dell’UE e dieci anni per extracomunitari. Al marzo scorso, erano in lavorazione al ministero degli Interni 208.465  domande delle quali 54.566 relative a stranieri che avevano sposato degli italiani: la maggioranza delle richieste, 162.899, provengono da stranieri che risiedono in Italia da più di dieci anni, dunque da chi è giunto ben prima dell’ondata migratoria che ha investito il nostro Paese nell’ultimo quinquennio: cosa accadrà in termini i richieste di riconoscimento di cittadinanza fra sei, sette, otto o dieci anni? 

Nel volgere di pochi anni gli stranieri regolarmente residenti in Italia, circa 4 milioni e mezzo, avranno diritto a chiedere ed ottenere la cittadinanza. Aggiungiamo a questo punto i nuovi cittadini automaticamente riconosciuti attraverso lo “jus soli”, che garantirebbe già oggi circa 800.000 nuovi italiani assicurando una media di circa 60.000 nuovi cittadini all’anno. Nella classifica generale l’Italia attualmente concede la cittadinanza, ad Albanesi, Marocchini, Romeni, Ghanesi, Serbi, Bengalesi, Filippini, Senegalesi,  Egiziani.  

Non da ultimo, si ricordi che l’esperienza vissuta in Europa ha ben dimostrato come i cittadini di fede islamica troppo spesso, e senza per ciò essere terroristi dell’Isis, rifiutano di integrarsi e contestano i principi di convivenza civile del Paese che li ha accolti affermando  la loro identità nella cultura e religione di origine. Quali saranno gli esiti di questo scenario complesso tra andamento demografico, cittadinanze concesse e tensioni socio-culturali e religiose?  Quali oneri comporterà? Come dovremo organizzarci socialmente? E’ a queste domande, ed altre ancora, che i parlamentari, ma anche i cittadini, devono dare risposte razionali e non basate sull’emotività nella discussione sullo “ius soli”.