“Robert Capa. Retrospective”: al Museo Civico di Bassano del Grappa la retrospettiva dedicata al grande fotografo ungherese

0
1170
Capa Omaha Beach
Presentazione nella sede della Fondazione di Venezia

Di Giovanni Greto

Capa Omaha BeachNella sede della Fondazione di Venezia vicina a piazzale Roma, ossia all’accesso alla terraferma e al popolare campo S. Margherita, croce e delizia per chi vi abita, a causa dell’invasione del popolo studentesco che si scatena nelle ore notturne, è stata presentata un’esposizione che farà discutere a lungo e che, dalle parole di Chiara Casarin, direttore dei musei civici bassanesi e di Giovanni Cunico, assessore alla promozione del territorio e della cultura di Bassano del Grappa, dovrebbe far diventare la cittadina sul Brenta un punto di attrazione per quel pubblico veneto che si muove per mostre.

“Retrospective” si colloca all’interno della quinta edizione del festival biennale “Bassano fotografia 2017. Oltre l’immagine” (16 settembre – 5 novembre), organizzato dalla Pro loco Bassano, in collaborazione con il comune. Vi hanno aderito 12 nazioni, si sono accreditati 100 fotografi, mentre 5 comuni – Nove, Cartigliano, Rosà, Romano d’Ezzelino, Possagno (dove nacque Antonio Canova) – si sono gemellati nel progetto.

A parlare con cognizione di causa di Robert Capa, pseudonimo d’arte di Endre Friedmann (Budapest, 22 ottobre 1913 – Thai-Binh, 25 maggio 1954), ci ha pensato Denis Curti, curatore assieme a Chiara Casarin della mostra e direttore artistico della Casa dei Tre Oci (“occhi”, nel vernacolo veneziano), sapientemente restaurata dalla Fondazione di Venezia. La Casa, diventata un punto di riferimento internazionale della fotografia, custodisce i fondi fotografici della Fondazione di Venezia che comprendono il Fondo De Maria (Mario De Maria, alias Marius Pictor, che disegnò ed abitò la Casa, costruita nel 1913 nell’isola della Giudecca, considerata uno dei principali episodi di architettura neogotica di Venezia, tanto da esser stato dichiarato nel 2007 dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto bene di interesse storico e artistico), con oltre 100.000 immagini realizzate dai vari componenti della famiglia, e l’Archivio Italo Zannier, con quasi 2.000 fotografie dall’Ottocento ad oggi di grandi maestri italiani e stranieri oltre una preziosa sezione della sua Biblioteca (12.000 volumi).

L’esposizione bassanese, ha spiegato Curti, segna finalmente l’inizio di una collaborazione, inseguita da tempo, tra il Museo Civico di Bassano e la Casa dei Tre Oci. E festeggia i 70 anni dalla nascita di Magnum Photos, l’Agenzia fondata come cooperativa da Robert Capa assieme all’amico fotografo Henri Cartier-Bresson. Il 2017 segna però anche la fine di una storia romantica perché per la prima volta, proprio allo scoccare del settantennale, entra nell’Agenzia del capitale privato (un Fondo d’investimento). E, similmente a quanto avvenuto nel momento della creazione, i quasi 60 fotografi che gestiscono 10 archivi, importanti per il mercato editoriale, hanno stappato una bottiglia di Magnum, da cui nel 1947 scaturì il nome per una delle più importante agenzie fotografiche del mondo. 

Nella galleria del museo, deliberatamente lasciata spoglia per farle emergere, si vedranno 97 foto in bianco e nero scattate dal 1932 al 1954. Nelle 11 sezioni in cui si articola “Retrospective” il visitatore potrà ripercorrere la vita e il lavoro di Capa, sin dal suo primo incarico internazionale per l’agenzia berlinese Dephot, a Copenaghen nel 1932, per la conferenza di Trotskij; le fotografie delle tumultuose parate di Parigi nel 1936; la documentazione della guerra civile spagnola (1936-1939), cui appartiene l’immagine basica – assieme a quella della bambina che corre coperta dal napalm in Vietnam – per rappresentare la guerra: quella del miliziano colpito dal fuoco amico durante un’esercitazione, scattata a Cordoba nel settembre del 1936. Si percepisce l’abilità dell’artista, capace di cogliere la persona umana esattamente nel momento del trapasso; il reportage frutto di sei mesi trascorsi in Cina nel 1938 per fotografare la resistenza alla invasione giapponese; la documentazione del secondo conflitto mondiale (1939-1945), che Capa seguì sui diversi fronti di battaglia con le immagini della conquista della Sicilia e di Napoli nel 1943, per arrivare al D-Day (lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944), del quale rimangono le “magnifiche undici”, le uniche fotografie professionali dello sbarco delle truppe americane, anche se viene da mangiarsi le dita a pensare a cosa c’era dentro ai quattro rullini scioltisi nell’essicatore per un malaugurato incidente tecnico ; le immagini della liberazione di Parigi nel 1944; dell’invasione in Germania con i parà americani nel 1945; del viaggio in Unione Sovietica nel 1947; la documentazione del primo conflitto arabo-israeliano e della fondazione ufficiale dello stato d’Israele nel 1948; fino alla guerra francese d’Indocina nel 1954, in cui Capa troverà la morte il 25 maggio a Thai-Binh. Mentre fotografa le manovre francesi nel delta del fiume Rosso, si avvicina ad una mina anti uomo e ne rimane ucciso.

Robert Capa, ha affermato Curti, usava la macchina fotografica come una penna, un notes. Fotografava la guerra cercando situazioni che avrebbero potuto umanizzarne il dramma. Non per niente il 3 dicembre 1938 la prestigiosa rivista inglese Picture Post, nel pubblicare 26 fotografie scattate durante la guerra civile spagnola, definisce l’artista con questa didascalia: “il miglior fotoreporter di guerra nel mondo: Robert Capa”. In mostra trova anche spazio una serie di ritratti di amici ed artisti, da Picasso ad Hemingway, da Matisse ad Ingrid Bergman, di cui Capa s’innamorò, oltre ad un ritratto del fotografo scattato da Ruth Orkin nel 1951.

La sua grandezza emerge dalla scelta di che cosa fotografare e in quale maniera: sensibile, passionale, con forza e grazia. Se si confrontano i suoi scatti con le volgarità e le crudità dei reportages odierni, si comprende ancor di più la delicatezza di una persona, come scrisse l’amico John Steinbeck, che è riuscita  a fotografare l’emozione della guerra perché la conosceva da vicino, riuscendo a mostrare l’orrore di un popolo attraverso il viso di in bambino. Molte sue immagini, come dichiarò il suo biografo e studioso Richard Whelman nel 2012, hanno una qualità senza tempo e universale che trascende la specificità della storia e sono entrate nell’immaginario collettivo.

Quasi contemporaneamente a Bassano, alla Casa dei Tre Oci dal 22 settembre al 7 gennaio 2018 ci sarà un’esposizione antologica dedicata ad un grande fotogiornalista, lo svizzero Werner Bischof: 250 immagini fra il 1934 e il 1954, l’anno della morte che lo colse in una scarpata, in Perù, forse a causa di una rapina.robert capa saluti