Festeggiati i dieci anni di concerti alla Fenice
di Giovanni Greto
L’Associazione culturale “Archivio musicale Guido Alberto Fano” ha intitolato “Dieci anni alla Fenice” la rassegna di concerti da poco conclusasi nelle sale Apollinee del teatro.
Nato a Venezia, dove si trova il fondo musicale del compositore, l’Archivio intende favorire la conservazione, la catalogazione e lo studio delle fonti musicali e biografiche di G. A. Fano (Padova, 18 maggio 1875 – Tauriano di Spilimbergo, 14 agosto 1961), la divulgazione della conoscenza della sua figura e della sua opera, attraverso l’organizzazione di attività di ricerca, di esecuzione, editoriali e didattico-musicali. I tre concerti che hanno composto l’ultimo ciclo sono stati come sempre seguiti da un pubblico attento e appassionato, che anno dopo anno si affeziona sempre di più alla scrittura interessante, tuttora viva ed attuale, del musicista veneto.
Il pianista Michele Campanella con il Quartetto d’Archi della Scala, nel penultimo appuntamento ha interpretato due Quintetti, entrambi in quattro movimenti, più o meno della medesima durata (attorno ai 40 minuti): il “Quintetto in do maggiore op.45” (1877) di Giuseppe Martucci (1856-1909) e il “Quintetto in do maggiore (con tromba ad libitum nel finale)” (1917) di G. A. Fano. Martucci, il maggior compositore italiano di musica da camera, pianistica e sinfonica del secondo Ottocento, volle Fano suo allievo al Liceo musicale di Bologna a partire dal 1894 e gli regalerà una sua partitura con dedica (“Al mio allievo prediletto G. A. Fano”), al conseguimento, tre anni dopo, del diploma di Maestro Compositore.
Come si legge nel programma di sala, pur nelle diversità di linguaggio, dovute alla distanza di composizione l’uno dall’altro, i due Quintetti hanno alcuni tratti in comune, a cominciare dalla tonalità delle prime note del pianoforte, che sono le stesse in entrambi, evidente omaggio di Fano alla memoria del Maestro. Il pezzo di Martucci, composto a 21 anni, consentì all’autore di vincere il concorso indetto dalla Società del Quartetto di Milano. Influenzato da Brahms e da Schumann (Massimo Mila lo definì “epigono di Brahms”), Martucci si distingue per un lirismo e una cantabilità tipicamente mediterraneo-italiana. Affascinante, il Quintetto di Fano, composto durante gli anni trascorsi a Palermo a dirigere il Conservatorio, sorprende per una drammaturgia che non trova alcun riscontro in opere preesistenti dello stesso genere. Personalmente mi è parso di avvertire alcune analogie (nell’inizio di soli archi dello “Scherzo Vivacissimo”, gli armonici in primo piano, l’uso del pizzicato) con la scrittura di Bernard Hermann per le colonne sonore dei film-capolavoro di Alfred Hitchcock. Nel finale, drammatico e tormentato – l’esecutore posizionato all’uscita della sala, nascosto al pubblico – si ode il suono di una tromba sordinata, impegnata in una melodia contrappuntata dagli altri musicisti in modo sorprendente ed entusiasmante.
Molto bravi gli interpreti. Il pianista Michele Campanella, considerato uno dei maggiori virtuosi ed interpreti lisztiani, il quale in 50 anni di attività ha affrontato molte tra le principali pagine di letteratura pianistica; il Quartetto d’Archi della Scala, messosi assieme nel 2001 per ridar vita alla storica formazione del 1953, quando le prime parti sentirono l’esigenza di sviluppare un importante discorso cameristico seguendo l’esempio delle più grandi orchestre del mondo.
Per il concerto conclusivo, il duo composto da Silvia Chiesa al violoncello e Maurizio Baglini al pianoforte, è riuscito a far trattenere il respiro alla platea, rapita dalla bravura e attenta a cogliere le diverse sfumature ed aspetti dei pezzi eseguiti. Collocato a metà programma il brano di Fano, doverosamente presente ad ogni esecuzione, il duo ha iniziato con “Drei Phantasiestucke” op.73 di Robert Schumann (1810-1856). Composti nel 1849, in un momento felice e produttivo, per clarinetto e pianoforte, si possono eseguire, a ottave diverse, anche con violino e violoncello. Scritti in forma di Lied (ABA) sono intensamente lirici, si eseguono senza interruzione e accelerano progressivamente il tempo e la tensione. La lunga “sonata in re minore” (1898) di Fano, dedicata a Martucci, vinse il primo premio nel concorso di composizione del 1898, indetto dalla Società del Quartetto di Milano, che nella seconda metà dell’800 incentivava la produzione cameristica italiana. Pur essendo un’opera di esordio, il brano, strutturato in quattro movimenti, mostra una maturità strumentale sorprendente, come ha ben sottolineato nel programma di sala Vitale Fano, direttore artistico dell’Archivio e nipote del compositore. Particolarmente impetuoso e trascinante, il finale “Allegro appassionato” ha dato modo a Silvia Chiesa di mettere in evidenza le proprie qualità tecniche ed espressive e una personalità che hanno provocato una serie di elogi da parte della critica internazionale.
Dopo una breve pausa, il duo è ritornato sul palco per interpretare l’immensa “Sonata in sol minore op.19” (1901) di Sergej Rachmaninov (1873-1943). Pur non essendo tra le composizioni più eseguite di Rachmaninov, la Sonata è abbastanza indicativa, come scrisse Ennio Melchiorre, per capirne la personalità, anche se risale al suo periodo giovanile. Baglini e la Chiesa hanno dimostrato il loro affiatamento – sono insieme dal 2005 – in grado di risolvere con eleganza anche i momenti più insidiosi. “La novità importante – come scrive Maurizio Baglini nel presentare il recente CD “Rachmaninov. Complete Works for Cello and Piano” (Decca) – riguarda la funzione drammaturgica del violoncello. Rachmaninov lo utilizza pensando ad un possibile confronto con l’orchestra, «quasi come se un solo strumento ad arco potesse sostituire la massa orchestrale tipica dei quattro concerti per pianoforte». E conclude la sua analisi con questa riflessione: «la genialità di Rachmaninov è dunque questa, riuscire ad affermare una nuova individualità di scrittura, pur utilizzando un lessico ed una sintassi musicale già consolidati».
Applausi a non finire, inducono i musicisti a rientrare dalla quinte per proporre “Vocalise”, forse il pezzo più famoso, tratto da “Fogli d’album”, sempre di Rachmaninov. Una melodia delicata, romantica, dal tono malinconico, forse un po’ strappalacrime, che suscita un’immediata emozione in chi la ascolta. Gli applausi continuano. E allora c’è tempo per un ultimo bis, “Berceuse” di Robert Schumann (1810-1856). Al ritmo di una ninna nanna, è probabilmente il pezzo più intenso concepito dall’autore per violoncello e pianoforte.