2 giugno: nel 2017 arriva in anticipo il Giorno di Liberazione Fiscale

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Da domani si lavorerà per sé stessi e non più per il fisco. Dal 1980 ad oggi i giorni necessari per la liberazione dalle tasse sono cresciuti di ben 38

tax freedom day giorno liberazione fiscale fuochi artificio«Oggi è l’ultimo giorno dell’anno che lavoriamo per il fisco; da domani, infatti, scatta il tanto sospirato giorno di liberazione fiscale» dichiara con legittima soddisfazione per la buona notizia ai contribuenti italiani il coordinatore dell’Ufficio  studi della Cgia, Paolo Zabeo, che, assieme ai colleghi ricercatori, ha calcolato anche per l’anno in corso la data in cui gli italiani inizieranno a lavorare per sé stessi: il 3 giugno. «Incluse le festività  – prosegue Zabeo – nel 2017 sono stati necessari 153 giorni per scrollarci di dosso la morsa del fisco; ben 38 giorni in più rispetto al dato registrato nel 1980».

Come si è giunti alla data del 3 giugno? L’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre ha preso  in esame il dato di previsione del Pil del 2017 e lo ha suddiviso per i 365 giorni dell’anno, ottenendo così un dato medio giornaliero. Dopo di che, ha considerato il gettito di imposte, tasse e contributi che gli italiani verseranno quest’anno e lo ha “frazionato” per il Pil giornaliero. Il risultato di questa operazione  determina la data media, cioè il 3 giugno, a partire dalla quale nel 2017 gli italiani “salutano” il fisco e iniziano a lavorare per sé. Un puro esercizio teorico che, comunque, permette di dimensionare un fenomeno ormai noto a tutti: le tasse in Italia sono troppe. «Lavorare 5 mesi su 12 per lo Stato  – conclude Zabeo – ci  dà l’idea di quanto eccessivo sia il nostro fisco. Al netto del peso dell’economia sommersa, sui contribuenti fedeli al fisco grava una pressione fiscale reale che sfiora il 50%, un carico che non ha eguali in Europa».  

«Per ridurre strutturalmente le tasse dobbiamo in misura corrispondente tagliare la spesa pubblica improduttiva – segnala il segretario della Cgia, Renato Mason – e nonostante gli effetti della “spending review” siano stati relativamente modesti, il carico fiscale complessivo ha iniziato a scendere. Certo, se da qualche anno avessimo abbracciato la strada del federalismo fiscale, molto probabilmente la contrazione sarebbe stata maggiore. Le esperienze europee, infatti, ci dicono che gli stati federali – come la Germania e la Spagna –  hanno una spesa pubblica nettamente inferiore ai paesi unitari e una qualità/quantità dei servizi offerti ai cittadini molto superiore a quella degli altri». 

Perché la pressione fiscale è in calo? Con l’introduzione in particolar modo del cosiddetto “bonus Renzi” (maggio 2014), l’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro (2015) e la cancellazione della Tasi (2016), la pressione fiscale in Italia ha cominciato a scendere. Oltre a questa misura, nel 2017 hanno concorso alla contrazione del peso fiscale e contributivo la riduzione dell’Ires (imposta sui redditi delle società di capitali) dal 27,5% al 24%; i super-ammortamenti (al 140%); l’aumento delle deduzioni Irap; l’innalzamento delle soglie per accedere al regime dei minimi e la proroga del parziale esonero contributivo a carico delle imprese che hanno assunto personale a tempo indeterminato. 

Se dal 2011 c’è stato un costante aumento del prelievo fiscale, a partire dal 2014 si è invertita la tendenza anche se la stragrande maggioranza dei benefici introdotti dal governo Renzi non ha interessato il popolo delle partite Iva. «Ancora una volta – conclude Mason – l’insensibilità della classe politica di questo Paese ha prevalso sugli interessi dei piccoli produttori. Su quel mondo di lavoratori autonomi, costituito in particolar modo da ex operai, da giovani “free lance” e da liberi professionisti che, inspiegabilmente, continuano a non ricevere alcuna attenzione ai loro problemi». Per l’anno in corso, fa sapere la Cgia, il gettito complessivo di imposte, tasse e contributi che gli italiani verseranno allo Stato sarà, secondo il DEF, di 723,6 miliardi di euro. La voce più importante riguarda le imposte dirette (Irpef, Ires, Irap, etc.) che peserà sulle tasche di imprese e cittadini per 249 miliardi; seguono le imposte indirette (Iva, accise, imposte catastali, etc.) con 247,1 miliardi, i contributi sociali con 224,5 miliardi e, infine, le imposte in conto capitale (successioni, donazioni, etc.) che ammonteranno a 2,9 miliardi di euro.