Nonostante un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario (puntualmente non mantenuto), lo Stato accumula mancati pagamenti per 46 miliardi di euro, mandando in sofferenza migliaia di imprese
Tutti si ricordano la promessa via etere fatta dall’allora premier Matteo Renzi di saldare a breve tutte le pendenze dello Stato con i suoi fornitori, aggiungendo che avrebbe fatto anche un pellegrinaggio penitenziale a piedi anche al santuario di Monte Senario se non avesse mantenuto la parola. Sappiamo tutti, e le imprese in primis, come è andata. Lo Stato continua ad essere un pessimo pagatore, dato che i fornitori avanzano dall’amministrazione fino a 46 miliardi di euro.
Secondo un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi dell’Associazione Artigiani di Mestre, tra gli acquisti di beni e servizi e gli investimenti fissi lordi, nel 2016 la pubblica amministrazione (pa) italiana ha fatturato ai propri fornitori e alle imprese appaltatrici 160 miliardi di euro. In totale assenza di dati ufficiali, gli artigiani mestrini della Cgia stimano che di quest’ultimo importo, una “fetta” che oscilla tra un valore minimo di 32 fino a un massimo di 46 miliardi non siano stati saldati a causa dei ritardi dei pagamenti e delle prassi inique praticate dai committenti pubblici ai propri fornitori.
L’importo è stato calcolato suddividendo in via puramente teorica i 160 miliardi di euro nell’arco dell’anno e “pesandoli” su 12 mensilità nel caso delle pa che pagano a 30 giorni e in 6 mensilità per quelle che invece saldano a 60 giorni (come la sanità), si ottiene la cifra di 19 miliardi di debiti fisiologici che non vengono onorati nell’arco dell’anno perché non sono ancora scaduti i termini di pagamento previsti dalla legge. In realtà, lo il pregresso di debito da onorare è molto superiore. Secondo l’Istat l’importo – riferito solo ai debiti di parte corrente che l’istituto ha notificato alla Commissione europea per l’anno 2016 – è di 51 miliardi di euro; la Banca d’Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro (anno 2015).
Per il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, «i debiti della pa hanno ormai assunto una dimensione surreale: da due anni, le imprese che lavorano per l’amministrazione pubblica hanno l’obbligo di emettere la fattura elettronica, altrimenti non possono essere liquidate. Nella fase di ingresso, questo documento informatico transita in una piattaforma controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze che lo smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile. Una volta che il destinatario della fattura dà l’ok, il saldo dovrebbe transitare per la piattaforma, consentendo al dicastero dell’Economia di monitorare in tempo reale i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite. Dopo 2 anni, invece, lo Stato non conosce ancora a quanto ammonta complessivamente il debito contratto con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo quelli periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite per legge. Una vicenda che ha dell’incredibile».
Le principali cause che hanno dato origine a questo malcostume tutto italiano sono la mancanza di liquidità del committente pubblico, cui vanno aggiunti i ritardi intenzionali e l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento; infine, le contestazioni. A queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Commissione europea a far scattare l’avvio della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, ovvero la richiesta da parte della pa di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture e l’istanza al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.
Non solo: Con lo split payment la situazione è peggiorata e lo sarà ancora di più nel prossimo futuro. Dall’inizio del 2015 ha fatto il suo “debutto” lo “split payment”. Questa novità obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal prossimo 1 luglio anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obiettivo di questa misura è contrastare l’evasione fiscale, ovvero evitare che una volta incassata dal committente pubblico, l’azienda fornitrice non la versi al fisco. Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che fare. Vale a dire la quasi totalità delle imprese.