Il compositore francese attivo tra il XIX e il XX secolo ha spaziato tra numerosi generi musicali
Di Giovanni Greto
Prosegue con estremo interesse ed attenzione da parte del pubblico il festival primaverile del Palazzetto Bru Zane dedicato a “Fernand de La Tombelle gentiluomo della Belle Epoque”. Il Centro di musica romantica francese, che ha sede in un palazzo veneziano del 1695, rimesso a nuovo dalla Fondazione Bru, ha per vocazione la riscoperta del patrimonio musicale francese del XIX secolo (1780-1920), riportando alla luce, o addirittura riscoprendo, compositori le cui opere meritano di essere eseguite, stimolando approfondimenti e confronti con quelle di autori più famosi del medesimo periodo.
Fernand de La Tombelle (1854-1928), come si legge nella brochure di presentazione al festival, allievo di Theodore Dubois e di Alexandre Guilmont, vicino a Saint Saens, dei cui consigli benefica, segue una duplice carriera di compositore e interprete virtuoso, sia come pianista che come organista. Figura interessante sotto diversi aspetti, dal temperamento ferocemente indipendente anche se non rivoluzionario, che si adoperò molto anche a favore dell’educazione musicale dei ceti popolari, ha lasciato un’opera imponente che merita di essere riconsiderata, oltre che per il suo valore, anche perché illustra una forma di attività sociale e artistica diffusa in Francia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il suo catalogo abbraccia tutti i generi (Mélodies, musica da camera, pezzi per organo, opere corali religiose o profane, pagine orchestrali o pianistiche, musiche di scena accompagnate o no da fantasie luminose) ed è completato da fotografie, disegni, dipinti, scritti teorici o letterari e opere destinate all’astronomia o all’arte culinaria, frutto del lavoro di un artista dotato e in possesso di una notevole cultura generale.
E’ stata assai apprezzata la serata intitolata “La voce del salotto”, dedicata alla Mélodie francese, un genere letterario per pianoforte e cantanti Bassi o Baritoni. Il basso Nicolas Courjal ha saputo legare la bravura tecnica alla capacità di emozionare, offrendo ad una platea silenziosamente attenta e conquistata, un recital di tredici Mélodies, per i cui testi La Tombelle ha attinto a poeti minori, scrittori famosi, ma anche ad autori sconosciuti. Si è anche ispirato a poesie d’amore che danno la parola ad una donna (“Ischia”, di Alphonse de Lamartine); oppure ha voluto esplorare altri temi, come in “Cavalier mongol”, una poesia di Marcel de Lihus, ossequio alla moda esotica che esprime il gusto dell’epoca per la figura del brigante emarginato dalla società, bellicoso e autoritario. “Ischia” e “Cavalier mongol” si possono ascoltare in una nuovissima incisione a cura del Palazzetto, contenente ventitre Mélodies eseguite dal baritono Tassis Christoyannis, accompagnato dal pianista Jeff Cohen. Nella serata veneziana, Courjal si è invece avvalso dell’elegante Antoine Palloc, originario di Nizza, esperto interprete di Mélodies francesi.
Qualche giorno dopo, “Barocco o Romantico” è stato il titolo scelto per il concerto di un duo – violoncello e pianoforte – già ospite gradito del Palazzetto. Emmanuelle Bertrand al violoncello e Pascal Amoyel al pianoforte hanno presentato un programma dedicato non soltanto a La Tombelle. Nella prima parte è stato dato spazio a due brevi composizioni di Gabriel Faurè (1845-1924), maestro incontestato del genere Mélodie. “Apres un reve” è una Mélodie, la prima di una raccolta di tre (“Hymne” e “Barcarolle” le altre), composte indipendentemente l’una dall’altra tra il 1870 e il 1877, poi riunite e pubblicate col titolo di “Tris Mélodies”. Romanticamente malinconica, “Apres un reve”, il cui testo è stato liberamente adattato da Romain Bussine da una poesia italiana anonima, racconta in forma di sogno il volo immaginario di due amanti presi l’uno dall’altra. “Elégie”passa da un clima funebre iniziale ad un’appassionata espressione nella parte centrale. Composta nel 1880, era stata concepita come movimento lento di una sonata che non venne mai eseguita. A seguire, un brano meritevole di riscoperta, la “Sonate pour violoncelle et piano en la mineur” di Henri Duparc (1848-1933). Composta probabilmente nel 1867, rimase a lungo sconosciuta perché la partitura completa era andata distrutta e la si dovette ricostruire a partire dai manoscritti e dai brogliacci conservati dalla figlia di Duparc. Fu eseguita per la prima volta nel 1948, in occasione del centenario della nascita del compositore, con Pierre Fournier al violino. Particolarmente toccante il secondo di tre movimenti, il lento. La violoncellista lo esegue ad occhi chiusi, quasi rapita dalla dolcezza del tema, mentre la mano sinistra del pianista scavalca la destra per suonare nella parte alta della tastiera, emettendo un suono delicatissimo, morbido, dolcissimo.
A questo punto è entrato in scena La Tombelle. Dapprima il duo ha eseguito l’“Andante espressivo pour violoncelle et piano”, con interessanti controcanti del pianoforte, racchiusi all’interno della figura di accompagnamento. Ma il pezzo più sorprendente, durato più o meno otto minuti, è stato “Variations en forme de chaconne pour violoncelle et piano”, che riporta, ecco forse il perché del titolo dato alla serata, al barocco di compositori come Bach, Couperin e Rameau. Di questi ultimi due, La Tombelle, stimato organista, eseguì spesso le musiche in un’epoca in cui la Francia moltiplicava le iniziative di recupero degli antichi Maestri. Ricco di variazioni metriche, l’ultimo brano in programma, la “Sonate pour violoncelle et piano en ré mineur”, in tre movimenti – Allegro; Lentement; Allegro vivace – è la felice conclusione di ambiziosi lavori da camera. L’autore la dedicò a Gaston Courras, violoncellista dell’Opéra di Parigi che la eseguì assieme a La Tombelle per la prima volta il 17 marzo 1902 alla Salle Erard. Applausi sinceri hanno toccato il cuore dei musicisti. E allora, prima del bis, il movimento lento della Sonata di Duparc, Emmanuelle Bertrand ha svelato la sua gioia di portare a Venezia per la prima volta uno strumento risalente al 1730, frutto della bravura dei liutai veneziani dell’epoca. Davvero un suono eccezionale per le orecchie di un pubblico che assapora il calore e la rilassatezza del salotto di una casa confortevole, accogliente ed acusticamente insuperabile.