Il giudice deposita le motivazioni della sentenza di condanna: «Baratter ha versato tre mensilità, il fatto è pacifico»
“Caso Baratter”, «il fatto è pacifico»: il giudice Enrico Borrelli non ha avuto dubbi nel stilare le motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna di due dei tre coimputati nel caso che ha visto coinvolto l’ex capogruppo del Patt in Consiglio provinciale di Trento, Lorenzo Baratter.
Il magistrato scrive di «condotte penalmente rilevanti che – prevedendo una mercificazione del voto — influiscono sulla libera espressione nelle competizioni elettorali», aggiungendo successivamente che «la sottoscrizione dell’accordo era in grado di influire sulla competizione». Detto in altri termini: il voto per il rinnovo del Consiglio provinciale può essere stato falsato da un mercimonio tra voti e denaro.
La sentenza a carico del comandante provinciale degli Schützen, dimessosi nel marzo scorso, Paolo Dalprà, e del suo vice Giuseppe Corona, condannati a cinque mesi e dieci giorni «per corruzione elettorale» arriva a due mesi dalla decisione in primo grado del Tribunale con la quale il giudice ha stabilito anche il pagamento di 3.000 euro a favore dei Cinque Stelle, costituiti parte civile nel processo.
Al centro dell’inchiesta c’è il famigerato patto pre-elettorale, firmato il 25 giugno 2013, prima delle elezioni provinciali, dai due Schützen insieme ad un terzo soggetto che poi sarebbe stato l’unico eletto, il consigliere provinciale autonomista, Lorenzo Baratter, nel quale si impegnavano a versare 500 euro al mese ai cappelli piumati, in caso di elezione. Il giudice Borrelli nella sentenza ripercorre le principali tappe della vicenda, partita dall’esposto, presentato dal deputato grillino Riccardo Fraccaro il 7 aprile dello scorso anno e lo stralcio della posizione di Lorenzo Baratter per ammissione alla messa alla prova. «Non un’ammissione di responsabilità» aveva precisato il consigliere provinciale ora autosospeso dal partito spiegando la decisione di lavorare come volontario. Ma il giudice, in sentenza, sottolinea come Baratter abbia, poi eletto nelle provinciali del 27 ottobre 2013, abbia versato tre mensilità, «con un bonifico del 30 aprile 2014 per complessivi 1.500 euro», confermando di fatto la sua corresponsabilità nel delitto elettorale.
Secondo il giudice Borrelli, che ha rigettato le controdeduzioni portate dalla difesa degli imputati, «l’accordo, alla luce del suo tenore letterale, contiene tutti gli elementi costitutivi del reato. Vi sono richiami espressi alla competizione elettorale — si legge in sentenza — alla data di svolgimento e alla sua natura (elezioni provinciali)». «Risultano inoltre — scrive ancora il giudice — la promessa esplicita di denaro, l’importo, la periodicità e la condizione (elezione dei candidati) per il pagamento». Borrelli rigetta anche l’argomentazione della difesa secondo cui all’epoca della sottoscrizione del documento le elezioni non erano state ancora indette, ma questo cambia poco la sostanza ad avviso del Tribunale. «L’accordo reca nel titolo e nel corpo del testo la data e la natura delle elezioni – chiarisce Borrelli -. Si tratta inevitabilmente di condotte non solo anteriori al voto, ma anche a quel complesso sistema — nelle elezioni con voto di lista — che prevede la selezione dei candidati da parte degli organi a ciò deputati secondo gli statuti dei singoli partiti». «La soglia di rilevanza — si legge ancora — è superata ogni volta in cui le condotte sono in grado di influire sulla competizione, sia interna (tra candidati della stessa area) che esterna (nella contrapposizione democratica tre liste)».
Borrelli si è rifatto alla pronuncia della Cassazione del 17 marzo 2016, numero 45152, in cui si precisava la natura della corruzione elettorale (reato «di pericolo astratto, essendo sufficiente il compimento della condotta per determinare l’applicazione della sanzione»), chiarendo come la competizione elettorale abbia anche «profili interni ai singoli partiti politici, sicché la sottoscrizione dell’accordo era in grado di influire anche su detta fase, necessariamente preliminare alla presentazione delle candidature».
Ora le difese dei due condannati si preparano all’appello, ma qualche conseguenza potrebbe ricadere anche sulla figura di Baratter che chiedendo l’ammissione in prova ha svicolato la condanna penale che sarebbe stata assai grave per un politico eletto. Lo ribadisce anche lo stesso Fraccaro: «la posizione di Baratter, sottoscrittore del patto uscito però dal procedimento penale con la scorciatoia della messa in prova, si fa sempre più grave e indifendibile. Il governatore Rossi e tutta la maggioranza fino ad oggi hanno minimizzato e fatto finta di niente, ora pretendiamo una presa di posizione chiara e netta – sottolinea il deputato pentastellato -. Non possono continuare a fare finta di nulla: il patto siglato tra Baratter e gli Schützen è un atto gravissimo che mina alle fondamenta la legittimità del Consiglio. La condanna e le motivazioni del giudice infatti confermano il dubbio che la maggioranza sia stata costruita anche grazie ai voti inquinati dalla corruzione elettorale. Baratter deve risponderne politicamente e invece la maggioranza lo premia addirittura inserendolo nella Consulta per il Terzo Statuto, che sta riscrivendo le regole della nostra Autonomia».