Pagine di Beethoven e Čajkovskij per il settimo concerto della Stagione sinfonica del Teatro Filarmonico di Verona

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Jader Bignamini dirige l’orchestra scaligera e il giovanissimo violinista Giovanni Andrea Zanon

3112 FotoEnnevi 484Venerdì 31 marzo (ore 20.00; replica sabato 1 aprile, ore 17.00), la Fondazione Arena di Verona propone il settimo concerto della Stagione sinfonica 2016-2017, diretto da Jader Bignamini. La serata si aprirà con il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61 di Ludwig van Beethoven, dove s’esibirà allo strumento solista il giovanissimo Giovanni Andrea Zanon, seguito dalla Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64 di Pëtr Il’ič Čajkovskij “Patetica”.

Il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61 costituisce l’unico Concerto di Beethoven per violino e orchestra (se non si considerano le due Romanze scritte per la stessa combinazione); composto nella seconda metà del 1806 e dedicato all’amico Stephan von Breuning, fu scritto per il violinista Franz Joseph Clement, che lo eseguì per la prima volta il 23 dicembre 1806 al Teatro An der Wien di cui era Direttore artistico.

Nato accanto a lavori come la Quinta e la Sesta Sinfonia, il Quarto Concerto per pianoforte e i Quartetti Rasumowsky, il Concerto per violino è tutto iscritto in un ideale di tenera e fervida cantabilità. Nel primo movimento (Allegro ma non troppo) la forma sonata si stempera senza contrasto fra primo e secondo tema: entrambi esposti dall’orchestra, hanno carattere melodico e la loro cantabilità viene sviluppata e potenziata dal solista, orientato al lirismo espressivo anche nei passi virtuosistici. Tale liricità si accentua nel conciso Larghetto, con l’orchestra spesso ridotta a poetici interventi dei corni e dei legni. Segue senza interruzione il Rondò (Allegro), basato sui frequenti ritorni di un tema dalla popolaresca, a tratti rustica, vivacità. Per invito di Muzio Clementi, interessato a un’edizione inglese, nel 1807 Beethoven adattò per pianoforte la parte del violino del Concerto op. 61. 

Scritta da Čajkovskij tra il maggio e l’ottobre del 1888, la Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64, proposta nella seconda parte del Concerto, fu eseguita per la prima volta a San Pietroburgo il 5 novembre di quell’anno sotto la direzione dello stesso autore.

Una sorta di filo conduttore lega tutti e quattro i movimenti della composizione: il tema esposto inizialmente dal clarinetto nel registro basso al principio dell’Andante introduttivo, vuole esprimere, secondo Čajkovskij, «una completa rassegnazione di fronte al destino». L’Allegro con anima che segue sviluppa con drammaticità elementi di motivi già presentati: il malinconico primo tema, coi suoi ritmi puntati, ed il secondo, dall’andamento di danza. L’Andante cantabile, in re maggiore, è di forma tripartita, e si apre con una accorata melodia del corno; la sezione centrale, come avviene spesso in Čajkovskij, è ricca di slancio, con una espressiva melodia affidata agli archi; prima della ripetizione della prima parte compare, enfatizzato, il tema del destino dell’inizio della sinfonia, che poi ritorna anche in conclusione. Il terzo movimento, Allegro moderato, è un valzer d’una tristezza pacata tipicamente čajkovskiana. L’introduzione al Finale si apre con lo stesso tema del destino, che compare però, questa volta, in tonalità maggiore, assumendo un carattere di tranquilla rassegnazione. L’Allegro vivace si presenta in modo molto enfatico per poi assumere un carattere marziale. Terminato lo sviluppo, una lunga coda in mi maggiore, nella quale il motivo d’apertura del primo movimento ritorna di nuovo, conduce la sinfonia ad una grandiosa conclusione.