Al Vinitaly convegno di studio sugli effetti dell’uscita dall’Ue del Regno Unito sul mercato enologico internazionale
La “Brexit” non scalfisce l’amore degli inglesi per il Prosecco con la Gran Bretagna che è diventata nel 2016 il primo mercato mondiale di sbocco dello spumante italiano con le bottiglie esportate che hanno fatto registrare un aumento record del 33% per un valore di 366 milioni di euro mai registrato prima. E’ quanto emerge dall’analisi divulgata dalla Coldiretti su dati Istat relativi al 2016 in occasione dell’avvio della procedura per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.
In Gran Bretagna – sottolinea la Coldiretti – sono state spedite il 30% delle bottiglie esportate, in pratica quasi 1 su 3, nonostante il rapporto di cambio si sia fatto più sfavorevole con la svalutazione della sterlina. Una dimostrazione dell’apprezzamento conquistato dalle bollicine italiane che le rendono difficilmente sostituibili anche per l’ottimo rapporto prezzo qualità. La Gran Bretagna – continua la Coldiretti – è il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari nazionali “Made in Italy” con un valore di ben 3,2 miliardi nel 2016, rimasto sostanzialmente stabile (+0,7%).
La voce più importante è rappresentata proprio dal vino e dagli spumanti seguiti dalla pasta, dall’ortofrutta, dai formaggi oltre un terzo dei quali è rappresentato da Parmigiano Reggiano e Grana Padano ma va forte anche la mozzarella di bufala campana. A preoccupare della “Brexit” – sostiene la Coldiretti – non è solo la svalutazione della sterlina che rende più oneroso l’acquisto di prodotti “Made in Italy”, ma anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole. A pagare un conto salato sono state per ora le esportazioni di olio di oliva “Made in Italy” che con l’esito del referendum sono crollate con una riduzione record del 9%, dopo essere aumentate del 6% nella prima metà del 2016. A pesare sugli acquisti di olio di oliva italiano è stato anche il sistema di etichettatura a semaforo che la Gran Bretagna ha deciso indipendentemente di far adottare al 98% dei supermercati inglesi il cui obiettivo era di diminuire il consumo di grassi, sali e zuccheri ma – sottolinea Coldiretti – non basandosi sulle quantità effettivamente consumate ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti come l’olio extravergine d’oliva e per promuovere, al contrario, le bevande gassate senza zucchero, fuorviando i consumatori rispetto al reale valore nutrizionale.
«Seguiamo con attenzione le vicende della Brexit e il suo impatto sul commercio, in particolare del nostro vino. A oggi però sembra stia sortendo l’effetto contrario – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani -. Ovviamente è presto per prevedere cosa sarà del nostro vino nel secondo Paese importatore al mondo, ma ritengo che i freni commerciali non convengano a nessuno. Il Regno Unito esporta verso l’Ue l’equivalente annuo di 2,1 miliardi di euro in liquori e distillati e importa dal Continente 1 miliardo di bottiglie di vino per 2,6 miliardi di euro. Un business, quello del vino Ue, che per la Wine and Spirit Trade Association (Wsta) britannica vale nel Regno Unito il 55% di un settore da quasi 20 miliardi complessivi di euro. Confidiamo – ha concluso Mantovani – nella negoziazione da parte della filiera europea del vino, un prodotto che ha visto incrementare notevolmente i suoi consumi a scapito della birra».
Per il direttore della potente Berkmann Wine Cellars, Alex Canneti, «la Brexit è una sfida per le vendite dei vini europei poiché Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda saranno i primi Paesi al mondo a istituire trattati bilaterali con il Governo inglese. L’unica soluzione a questa minaccia è consentire al Regno Unito un periodo di 10 anni per condividere le stesse condizioni commerciali e gli stessi oneri doganali dell’Unione Europea, oltre a negoziare un trattato di libero scambio. Ma certamente – ha concluso Canneti – i formaggi e il vino sono più esposti ai rischi rispetto ad altre forniture come le auto, le medicine e i prodotti finanziari, e quindi più oggetto di provocazioni politiche, come quella del segretario di Stato per gli Affari Esteri, Boris Johnson, che ha minacciato di alzare i dazi sul Prosecco».