Le ricerche condotte dall’Università di Padova e di Trento con il Cnr dimostrano attività sul corpo celeste
Le frane possono essere il “motore” delle spettacolari esplosioni che tormentano la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, un grande sasso che orbita periodicamente nel sistema solare ogni 6,45 anni composto da due corpi uniti tra loro di circa 2,3 chilometri cubi di massa: la prova diretta di questo legame di causa-effetto è stata trovata per la prima volta studiando una violenta esplosione che ha portato allo scoperto un pezzo del “cuore” ghiacciato della cometa.
Le immagini sono state catturate dalla sonda Rosetta dell’Agenzia spaziale europea (Esa) grazie a strumenti come la fotocamera Osiris, progettata in Italia dall’Università di Padova, e sono pubblicate sulla rivista Nature Astronomy dal gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’astrofisico Maurizio Pajola, che lavora tra l’Università di Padova e l’Ames Research Center della Nasa in California.
L’esplosione sulla cometa 67P è stata individuata il 10 luglio 2015 dalla camera di navigazione (Navcam) di Rosetta, in corrispondenza di un dirupo denominato Aswan. Confrontando le immagini della regione riprese prima e dopo l’evento dalla fotocamera Osiris, è emerso che il pennacchio di polveri si è sollevato proprio a seguito di uno smottamento generato da una frattura del suolo, lunga 70 metri e larga uno. Le foto scattate successivamente mostrano che la frana ha esposto un pezzo del cuore ghiacciato della cometa, visibile come un’area più luminosa, mentre alla base del dirupo è comparso un accumulo di detriti rocciosi.
Questo genere di collassamenti, così come tutti gli altri cambiamenti della superficie che sottopongono la cometa ad un continuo “lifting”, potrebbero essere dovuti ad eventi di tipo stagionale legati all’esposizione al Sole, come indica un secondo studio pubblicato su Science da un gruppo internazionale a cui l’Italia partecipa attraverso l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Università di Padova e quella di Trento.