Cuneo fiscale: i dipendenti costano al datore di lavoro quasi il doppio dello stipendio erogato

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Un operaio con un netto mensile di 1.350 euro costa all’azienda 2.357 euro. Un impiegato con un netto di 1.700 euro/mese costa oltre 3.200 euro. Necessario un taglio delle tasse gravanti sul lavoro

cuneo fiscale tasse stipendio salario lavoratore imprenditoreLe tasse e i contributi previdenziali continuano ad alleggerire in maniera eccessiva i salari e gli stipendi, condizionando negativamente la capacità di spesa degli italiani. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha esaminato la composizione delle buste paga di 2 lavoratori dipendenti entrambi occupati nel settore metalmeccanico dell’industria.

Il primo caso riguarda un operaio con uno stipendio mensile netto di poco superiore ai 1.350 euro: al suo titolare costa, invece, un po’ meno del doppio: 2.357 euro. Questo importo è dato dalla somma della retribuzione lorda (1.791 euro) e dal prelievo contributivo a carico dell’imprenditore (566 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l’azienda e la retribuzione netta) è pari a 979 euro che incide sul costo del lavoro per il 41,5%.

Il secondo caso si riferisce a un impiegato con una busta paga netta di poco superiore a 1.700 euro. In questa ipotesi, il datore di lavoro deve farsi carico di un costo di oltre 3.200 euro; importo, quest’ultimo, quasi doppio rispetto allo stipendio erogato. Questa cifra è composta dalla retribuzione mensile lorda (2.483 euro) a cui si aggiungono i contributi mensili versati dal titolare dell’azienda (729 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l’azienda e la retribuzione netta) è di 1.503 euro che incide sul costo del lavoro per il 46,8%.

Negli ultimi anni, comunque, la situazione è un po’ migliorata. E anche se quasi 1 milione di persone su 11,9 milioni che hanno beneficiato degli 80 euro nel 2015 è stato costretto a restituirli interamente, l’introduzione del bonus Renzi e il taglio dell’Irap avvenuto nel 2015 sul costo del lavoro ai dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato hanno garantito una riduzione del carico fiscale di circa 14 miliardi di euro. Inoltre, sebbene la metà dei 9 miliardi di euro annui che servono per coprire la spesa del bonus Renzi sia finita nelle tasche di dipendenti che vivono in famiglie con redditi medio-alti, è altrettanto vero che secondo un’indagine realizzata dalla Banca d’Italia il 90% delle famiglie percettrici di questa agevolazione  hanno dichiarato di averla  spesa e di aver destinato il restante 10% al risparmio e al rimborso di debiti. In altre parole, nonostante la metà dei destinatari non fosse costituita da lavoratori a basso reddito, buona parte di questo bonus è stato speso per gli acquisti, a dimostrazione che se si rendono più pesanti le buste paga la gente torna a spendere e a far ripartire i consumi interni che, ricordiamo, sono la componente più importante del Pil nazionale.  

«Oltre a tagliare l’Irpef – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – è necessario intervenire anche sulla riduzione del prelievo in capo al datore di lavoro che in Italia è tra i più elevati d’Europa. Secondo l’Ocse, tra gli oltre 30 paesi più industrializzati del mondo solo Francia, Repubblica Ceca ed Estonia hanno un carico contributivo per dipendente superiore a quello italiano. Una situazione che ci impone non tanto di tagliare l’aliquota previdenziale che, in un sistema ormai contributivo, danneggerebbe i lavoratori, ma di proseguire con maggiore determinazione nella riduzione delle tasse sulle imprese».cgia cuneo fiscale stipendi operaioimpiegato