Italia, in arrivo la procedura d’infrazione UE per ritardo nel pagamento dei fornitori e per lo smog

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Dal 2013 tre governi non sono stati in grado di rispettare i termini di pagamento delle fatture alla PA. Anche il continuo superamento delle soglie di inquinamento atmosferico gli strali comunitari

euro soldi tempo ritardi pagamenti goccia acquaAll’orizzonte del governo Gentiloni non c’è solo la manovrina di primavera per circa 3 miliardi di euro per rientrare all’interno dei parametri del rapporto debito/Pil (che probabilmente sarà resa un pizzico più leggera dal miglioramento del Pil nell’ultimo scorcio del 2016), ma anche le procedure d’infrazione che la Commissione europea potrebbe attivare a breve nei confronti dell’Italia per non avere rispettato due direttive relative ai termini di pagamento delle fatture de fornitori e al rispetto delle soglie d’inquinamento atmosferico. Infrazioni che con tutta probabilità si tramuteranno in sostanziose multe che dovranno essere pagate dalla fiscalità generale.

La cosa ha destato l’allarme delle categorie produttive che lamentano il perdurare dei ritardi di pagamento da parte della pubblica amministrazione verso i propri fornitori. «Con un debito nei confronti dei propri fornitori stimato in  65 miliardi di euro,  34 dei quali dovuti ai ritardi di pagamento accumulati in questi anni, la pubblica amministrazione italiana rimane la peggiore pagatrice d’Europa – sbotta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo -. Una situazione che molto probabilmente ci costringerà a subire l’ennesima sanzione da parte dell’Ue per colpa di un’amministrazione che paga con il contagocce perché ha deciso di finanziarsi attraverso i propri fornitori».   

L’irritazione degli artigiani è dovuta al fatto che «mentre il nostro Governo è alla ricerca di quasi 2,5 miliardi di nuove entrate per coprire una parte della correzione dei conti richiestaci da Bruxelles – conclude Zabeo -, dopo due anni dalla procedura di infrazione comminataci dalla Commissione europea  ora rischiamo di essere deferiti alla Corte di giustizia e subire una sanzione che molte imprese fornitrici dello Stato  pagherebbero due volte. La prima perché sono saldate con grande ritardo rispetto agli accordi contrattuali, la seconda perché la sanzione verrebbe pagata con la fiscalità generale».

Questo nonostante dal 1 gennaio 2013 la normativa nazionale di recepimento della direttiva europea abbia stabilito il termine di 30 giorni (estensibile a 60 se il pagatore sia un’azienda sanitaria) viene continuamente disatteso dal comparto pubblico, con notevoli difficoltà da parte dei fornitori alle prese pure con le difficoltà di ottenere credito e di non potere compensare – come sarebbe logico – i loro crediti nei confronti dello Stato (e delle sue articolazioni locali) con quanto essi devono in termini di tasse.

Nel confronto internazionale, la pubblica amministrazione italiana presenta un livello di debiti commerciali nettamente superiore. Dai dati dell’Eurostat lo stock di debiti commerciali italiani al 31 dicembre 2015 era di 48,9 miliardi di euro (pari al 3% del Pil). Va sottolineato che questi dati non includono i debiti ceduti con la clausola “pro soluto” a intermediari finanziari e la quasi totalità dei debiti riconducibili alla spesa in conto capitale. In Spagna, invece, lo stock ammontava a 14,5 miliardi (1,3% del Pil), in Germania a 37,4 miliardi (1,2% del Pil) e in Francia a 26,4 miliardi (1,25 del Pil).