Il Parlamento europeo approva il trattato eurocanadese di libero scambio “Ceta”

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Reazioni discordanti tra piccoli e grandi produttori e tra consumatori

ceta grafica canada ueCon 408 voti a favore e 254 contrari, l’accordo economico e commerciale globale UE-Canada (CETA), che ha l’obiettivo di aumentare il commercio in beni e servizi e gli investimenti, è stato ratificato dal Parlamento europeo. Questo storico accordo sarà applicato in via provvisoria già dall’aprile 2017.

L’accordo CETA eliminerà i dazi sulla maggior parte dei beni e dei servizi e prevede il mutuo riconoscimento della certificazione per una vasta gamma di prodotti. Il Canada aprirà il mercato degli appalti pubblici federali e municipali alle imprese europee (per il Canada il mercato europeo è già accessibile). I fornitori europei di servizi quali il trasporto marittimo, le telecomunicazioni, l’ingegneria, i servizi ambientali e la contabilità avranno accesso al mercato canadese. 

Durante i negoziati, l’UE ha garantito la protezione di oltre 140 indicazioni geografiche europee per cibo e bevande venduti sul mercato canadese. Sono state inoltre incluse clausole per uno sviluppo sostenibile, per salvaguardare gli standard ambientali e sociali e garantire che il commercio e gli investimenti le incrementino. 

Per fugare le preoccupazioni dei cittadini che l’accordo dia troppo potere alle multinazionali e che i governi non possano legiferare per tutelare la salute, la sicurezza o l’ambiente, l’UE e il Canada hanno entrambi confermato esplicitamente, sia nel preambolo dell’accordo sia nella dichiarazione comune allegata, il diritto degli Stati a rifarsi al diritto nazionale. L’accordo CETA non rimuoverà le barriere doganali per i servizi pubblici, i servizi audiovisivi e di trasporto e per alcuni prodotti agricoli, come ad esempio i prodotti lattiero- caseari, il pollame e le uova. 

Poiché il CETA è stato definito un accordo misto dalla Commissione europea nel luglio 2016, dovrà ora essere anche ratificato dai Parlamenti nazionali e regionali. 

Numerose e contrastanti le reazioni dopo l’approvazione dell’accordo. Per Coldiretti «i produttori canadesi potranno continuare ad utilizzare il termine Parmesan ma anche produrre e vendere, come già fanno, Gorgonzola, Asiago, Fontina dove dovrà essere aggiunta l’indicazione Made in Canada, ma finalmente entrerà sul mercato canadese il prosciutto di Parma Dop fino ad ora precluso, in coesistenza però con quello dell’azienda privata che ne ha registrato il marchio». 

Tale accordo prevede ad esempio che – continua la Coldiretti – il Prosciutto di Parma, il Prosciutto San Daniele, il Prosciutto Toscano e il Prosciutto di Modena potranno entrare nel mercato canadese con il loro nome ma dovranno coesistere con i marchi canadesi registrati. In altre parole sul mercato del paese nordamericano – precisa la Coldiretti – ci saranno i prosciutti di Parma e San Daniele Made in Canada insieme a quelli italiani mentre fino ad ora il prosciutto di Parma italiano poteva essere esportato solo con il nome di “Prosciutto originale”. Gorgonzola, Asiago e Fontina sono considerati generici dall’accordo e i canadesi potranno continuare a produrli e venderli con tale denominazione che sarà però accompagnata dall’indicazione obbligatoria dell’origine in etichetta (esempio Asiago Made in Canada), senza però possibili evocazioni (quali bandiere o immagini di posti notoriamente riconosciuti). Nel caso di eventuali nuovi prodotti canadesi di imitazione, questi dovranno essere accompagnati dalle espressioni “tipo; stile o imitazione” (esempio “stile squacquerone di Romagna). 

«Un grande regalo alle grandi lobby industriali che nell’alimentare puntano all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità – afferma il presidente di Coldiretti – Roberto Moncalvo -. Nei trattati va riservata all’agroalimentare una specificità che tuteli la distintività della produzione e possa garantire la tutela della salute, la protezione dell’ambiente e della libertà di scelta dei consumatori. Solo per fare un esempio i produttori canadesi potranno utilizzare il termine Parmesan, ma anche produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, mantenendo una situazione di ambiguità che rende difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità. Ma soprattutto si crea una concorrenza sleale nei confronti del vero “Made in Italy” in cui perde l’agricoltura italiana che – conclude Moncalvo – ha fondato sulla distintività e sulla qualità la propria capacità di competere».

Per Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio Grana Padano, «questo accordo tutelerà le nostre Dop e Igp vietando “scimmiottature” o falsi realizzati in Canada con l’uso di simboli o diciture che richiamano “l’italianità”, evitando così che il consumatore abbia una falsa percezione sull’origine di ciò che acquista. Poi – prosegue il presidente del Consorzio e di Afidop – otterremo finalmente il superamento di pesanti barriere doganali che ad oggi limitano l’accesso dei nostri prodotti di eccellenza, rendendo di fatto irrealizzabile, economicamente parlando, il superamento delle quote assegnate. Il Canada, mercato già molto importante per i nostri vini, formaggi e salumi certificati – conclude Baldrighi – diventerà con questo accordo uno dei terminali di maggior sbocco per le nostre esportazioni. Il mondo delle indicazioni geografiche italiane – sottolinea infine – spera di traslare i contenuti di questo accordo anche al “TTIP” (Transatlantic Trade and Investment Partnership) con gli Stati Uniti, attualmente in fase di stallo».

Secondo Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, «ancora una volta siamo di fronte a un trattato che intende affermare gli interessi della grande industria, a scapito sia dei cittadini che dei produttori di piccola scala. Ciò di cui abbiamo bisogno è invece l’adozione di un nuovo sistema che ci indirizzi verso una politica commerciale inclusiva, che abbia come punti cardine i bisogni delle persone e del nostro pianeta. Ratificare il CETA ci allontanerebbe sicuramente da questo obiettivo. Già 3,5 milioni hanno manifestato il loro dissenso firmando la petizione diffusa nei mesi scorsi, è ora di dare loro ascolto!» Per Pascale «la decisione ora è in mano ai singoli Stati membri ed è sufficiente che un solo Paese non lo ratifichi per fare in modo che il CETA non passi. Chiediamo quindi al Governo italiano che rispetti l’opinione dei cittadini e si schieri finalmente a favore dei produttori locali e dell’ambiente. L’accordo, infatti, include moltissimi temi, dai lavori pubblici alla carne agli ormoni, dal glifosato agli Ogm, tema tra l’altro, su cui si deciderà in gran segreto». 

Per essere ancora più concreti, si può fare un esempio: in Europa esistono 1.300 prodotti alimentari a indicazione geografica, 2.800 vini e 330 distillati. Di questi, il CETA ne tutelerebbe solamente 173. «Questo significa che alcune denominazioni di origine di prodotti legati al territorio e con una tecnica produttiva tradizionale potrebbero essere tranquillamente imitati oltreoceano, senza essere passibili di alcuna sanzione – commenta Carlo Petrini, presidente di Slow Food -. E attenzione a non pensare che questo sia un discorso protezionista nei confronti dei contadini europei, perché per altre filiere vale al contrario».