Vecchioni presenta le strategie di un “unicum” di azienda agricola quotata alla Borsa di Milano: nel futuro filiera integrata e produzione biologica
Per Bonifiche ferraresi, una delle più grandi aziende agricole italiane e l’unica in Occidente ad essere quotata alla Borsa di Milano, nata nel 1871 e costituita in Inghilterra come “Ferrarese Land Reclamation Company Limited” per strappare terre alle paludi del delta del Po guarda al futuro, sia tramite nuove metodiche commerciali che tramite acquisizione di altre realtà per consolidare il polo agroalimentare nazionale.
La società, che ha appena annunciato l’acquisizione di mille ettari di Bonifiche Sarde, s’appresta a diventare l’azienda agricola in Europa che dedica la maggiore superficie al biologico. Terre su cui viene anche prodotto il Riso del Delta del Po, uno dei prodotti certificati Igp che entro fine anno porteranno sugli scaffali dei supermercati il marchio dell’impresa.
L’amministratore delegato Federico Vecchioni (al vertice anche dei Consorzi agrari italiani) sta definendo gli ultimi aspetti di una “rivoluzione” organizzativa, che punta a qualificare la redditività dell’azienda agendo sulla filiera di produzione: il manager sta realizzando il piano industriale messo a punto dopo la acquisizione da parte di una cordata di investitori, raggruppati in Bf holding, che vede tra gli i partecipanti anche Cariplo, Sergio Dompè, Per (Carlo De Benedetti), Inalca (Cremonini), Aurelia (Gruppo Gavio) e i Consorzi agrari italiani, che hanno rilevato la proprietà da Bankitalia. «La nuova compagine societaria ha sempre ribadito che l’obiettivo non era uscire dal listino di Piazza Affari – dice Vecchioni -. La quotazione ha delle complessità per un’azienda agricola che non nego, ma noi non siamo un’azienda agricola “ordinaria”, ma una società con un piano industriale complesso». Piano che mira alla verticalizzazione della produzione e all’integrazione della filiera: «produrre “commodities” per poi vendere all’ingrosso condanna una azienda a non avere redditività sufficiente per gli investimenti – dice Vecchioni -. Bisogna invece puntare ad essere il centro della filiera: per esempio, produrre riso per darlo al mediatore non è una scelta premiante, bisogna fare il proprio stabilimento, e vendere a marchio prodotti di qualità». Ecco perché sugli scaffali della distribuzione organizzata (Gdo) Bonifiche porterà solo quelle certificate, come il Riso del Delta o la carne di Chianina: il tutto rigorosamente legato alla stagionalità e al ciclo di produzione. Una strategia all’insegna di un’“agricoltura 4.0” e di tradizione che ha portato a creare a Jolanda di Savoia (sede di Bonfiche Ferraresi) un campus universitario con aule in campo aperto, a georeferenziare i campi per recuperare l’incolto, a sviluppare un piano idrico per ridurre gli sprechi d’acqua, a usare energie rinnovabili. Senza dimenticare una zootecnia complementare all’agricoltura che produce il più antico e sostenibile dei fertilizzati, il letame.
I numeri stanno dando ragione a Vecchioni: a settembre il valore della produzione era in aumento del 20,8% (13,4 milioni di euro nei primi nove mesi 2016), l’Ebitda a 2,6 milioni (+52,9%), l’utile netto a 1,1 milioni (+83,3%). Il 2016 si chiuderà «in modo assolutamente performante», invertendo l’attuale tendenza all’incremento di prodotti agricoli dall’estero per soddisfare le esigenze del mercato nazionale.