Veneto -1,3% (–1.751 imprese); Trentino Alto Adige -0,4% (-114 imprese); Friuli Venezia Giulia – 1,1% (-321 imprese); Emilia Romagna -1,4% /-1.886 imprese). In tutt’Italia sono perdute quasi 19.000 imprese
E’ passato un altro anno di stallo più che di ripresa e in tutto il NordEst mancano all’appello ben 4.071 imprese artigiane. Nel solo Veneto il saldo 2016, risultato dalla differenza tra le 7.638 nuove iscrizioni e 9.389 cessazioni, porta a 130.373 il patrimonio di imprese artigiane operanti sul territorio regionale con un calo del 1,3% inferiore, anche questa volta, a quello nazionale arrivato a -1,4%. Un dato che riporta il mondo artigianale al 1980, ben trentasette anni fa.
La contrazione delle imprese artigiane venete dipende sempre più dalla crisi che stanno affrontando le aziende del comparto edile calate, nel corso degli ultimi 12 mesi, del -2,1% pari a – 973 unità, più della metà del totale. Anche il manifatturiero, settore più esposto alle trasformazioni imposte dalla globalizzazione dei mercati, continua a perdere imprese -2%. Timidissimi segnali di miglioramento li registra invece l’importante settore dei servizi alla persona che ha chiuso l’anno con un patrimonio di imprese cresciuto di 108 unità. Un dato da non sottovalutare perché legato ai consumi interni ed alla fiducia dei cittadini che a questo punto sono un po’ migliorati nella nostra regione. Ottime notizia arrivano invece di servizi alle imprese: il noleggio ad esempio cresce del 4,1%, ma bene anche i servizi di comunicazione ed informazione e la ristorazione +1,1%.
Per Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato Imprese Veneto «abbiamo indicatori discordanti. Trentino (-0,4%), Lombardia (-0,8), Friuli (-1,1%) e Veneto (-1,3%) sono 4 delle 5 regioni (anche la Calabria è calata meno della media nazionale) in cui la flessione dell’artigianato è stata inferiore alla media nazionale che nel suo complesso ha perduto quasi 19.000 aziende. Il NordEst allo stesso tempo risulta però l’unica macro area d’Italia ad aver registrato un calo complessivo delle imprese -0,10% quando il NordOvest cresce del +0,4% e Centro e Sud del + 1%. Sembra quasi, almeno qui da noi, che la piccola impresa abbia elementi per rispondere meglio alle sfide di un mercato nazionale ed internazionale in continua evoluzione ad esempio strutturandosi di più ed aumentando le imprese con un numero maggiore di dipendenti. Resta il segnale negativo però di una costante emorragia che sta “spolpando” uno straordinario patrimonio di conoscenza e competenze che, per la prima volta dal 1980, lambisce la soglia psicologica delle 130.000 unità».
«Il Veneto – prosegue Bonomo – ha tenuto in questi anni grazie ai suoi fondamentali etici e culturali. Artigiani, commercianti, piccole imprese si sono comportate da “eroi della quotidianità” salvandoci. Dobbiamo ricominciare a difendere questo nostro modello di sviluppo tornando al primato dell’economia reale e ricondurre la finanza al suo servizio. Per questo motivo è urgente intervenire sia a favore delle nuove imprese completando le riforme economiche da quella del fisco alla semplificazione e dall’altro creare le condizioni affinché la mortalità di quelle esistenti cali. Per la realtà artigiana veneta ciò si declina – conclude Bonomo – sbloccando alcune questioni che ci perseguitano da sempre: un accesso al credito adeguato visto che ancora oggi, secondo Bankitalia le Pmi, vale a dire il 99,9% delle imprese, ricevono soltanto il 30% del totale dei finanziamenti anche se più di due terzi delle sofferenze nette si concentrano negli affidamenti sopra i 500.000 euro e sono poche le imprese artigiane sopra questa soglia. E tempi di pagamento in media con quelli europei. Non è possibile che a tre anni dall’avvio dell’operazione sblocca-debiti, lo Stato, esattore velocissimo, rimane un pagatore-lumaca verso i fornitori, ma non solo. I piccoli imprenditori non possono più permettersi il lusso di tollerare che la legge sui tempi di pagamento continui ad essere violata».