Rapporto statistico 2016: Veneto, dov’è il paradiso economico-sociale?

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veneto statistico 2016
L’Italia esporta, in giro per il mondo merci, ma anche i migliori talenti. I punti di forza, così ben evidenziati nel Rapporto ottimistico del Veneto 2016, non devono indurci a sottovalutare le non poche difficoltà diffuse anche nel NordEst 

Di Giuseppe Pace

veneto statistico 2016Come ogni anno, anche per il 2016 è stato reso pubblico il Rapporto statistico del Veneto. Dalla lettura emergono punti di forza ben evidenziati dal Governatore Luca Zaia, ma anche punti critici non evidenziati sufficientemente. Forse ciò è causato da uno spesso vezzo di molti politici del Veneto di nascondere ciò che non va ed esaltare al massimo ciò che va bene. Può anche essere valido per l’ottimismo da infondere nei propri elettori, ma in altre regioni tali Rapporti, pure curati da Unioncamere regionale, tale vezzo è meno marcato. 

Il governatore veneto ha presentato a Padova nel centro culturale Altinate San Gaetano il Rapporto statistico 2016 della Regione “Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta”, dove Zaia ha detto «più autonomia per ridurre le catene decisionali, burocrazia e tasse che frenano lo sviluppo e capacità competitiva del territori. Il Veneto è la regione d’Italia con il tasso di disoccupazione più basso (6,8%, quasi la metà del dato nazionale) grazie al lavoro di squadra tra istituzioni e imprenditori, alla formula del “distretto industriale diffuso” e al buon utilizzo dei fondi comunitari. Da noi l’interconnessione tra istituzioni, soggetti economici e società funziona, ciò che non funziona, invece, è il sistema dello Stato: troppa burocrazia e troppe tasse sono la palla al piede della crescita del Veneto». Il rapporto statistico disegna un Veneto sempre più interconnesso, dove le aziende sono il primo motore dello sviluppo, per fatturato, capacità innovativa e di relazioni in rete. «Ma sono oppresse da una pressione fiscale enorme» ha sottolineato Zaia, in dialogo con il giornalista Roberto Nardi, responsabile della sede Ansa di Venezia. 

Il Veneto come un grande sistema urbano interconnesso, e il Veneto dai “capelli d’argento” che invecchia più rapidamente delle altre regioni d’Europa: sono i due fotogrammi che sintetizzano il Rapporto statistico 2016. Al Veneto policentrico sta subentrando il Veneto metropolitano. «Il 40,3% della popolazione – ha sottolineato Ilaria Bramezza, nuovo segretario generale alla programmazione – si concentra nella fascia a centrale del Veneto, tra Venezia, Treviso, Padova, Vicenza e Verona. Un agglomerato urbano multipolare che funziona a come un magnete, perché attrae quotidianamente il 26% di persone in più: ogni giorno in Veneto le persone che si spostano per motivi di studio o di lavoro sono oltre 2,5 milioni». La grande “città diffusa” multipolare, interconnessa su scala internazionale e organizzata con una fitta rete di relazioni interne, sta vivendo una fase di riorganizzazione anche amministrativa, con un aumento di scala delle autonomie territoriali di riferimento, dalle camere di commercio ai consorzi, alle Province. Ma sconta anche aspetti di “vulnerabilità”, come pendolarismo, disagio abitativo, traffico e inquinamento dell’aria, che il Rapporto Statistico misura nei suoi chiaro-scuri. 

Oggi i residenti in Veneto sono 4.915.123 persone, oltre 12.000 in meno rispetto all’anno precedente. «È come se si fossero “persi” tre comuni di circa 4.000 abitanti l’uno (si consideri che il 50% dei comuni veneti ha meno di 4.500 residenti)», fa notare Maria Teresa Coronella, direttrice del Sistema statistico regionale. Cala la natalità: dai 9,8 nati per mille abitanti del 2008 il Veneto scende agli 8 del 2015. E per la prima volta le “culle vuote” non sono più compensate dai flussi migratori, come avveniva negli anni precedenti. L’apporto della popolazione immigrata, che conta oltre mezzo milione di “nuovi” residenti, pari al il 10,4% della popolazione regionale, risulta in flessione: la fecondità delle donne immigrate, è scesa dai 2,71 figli di media nel 2008 ai 2,08 del 2014, avvicinandosi tendenzialmente alle scelte riproduttive delle donne venete (1,3 figli di media). Al costante e generale calo delle nascite, si aggiunge un aumento significativo dei decessi. Nel 2015 si è verificato un eccesso di mortalità (dovuto all’epidemia influenzale e a temperature estive particolarmente elevate) che ha riguardato soprattutto gli ultraottantenni. A questo si aggiunge l’aumento “fisiologico” dei decessi che ci si può aspettare da una popolazione che invecchia. Oggi il 22% della popolazione ha più di 65 anni, nel 2060 in Veneto tre su dieci saranno anziani. Per quanto riguarda la componente migratoria, si riducono le iscrizioni in anagrafe dall’estero, mentre aumenta il numero dei veneti che se ne vanno: dal 2012 al 2014 11.000 giovani si son trasferiti all’estero. Negli ultimi sei anni il numero degli under 34 che hanno deciso di lasciare il Veneto è salito del 44%. Sui poveri così ci informa: «Il Veneto “dai capelli d’argento” pone vecchi problemi – la sostenibilità del sistema pensionistico e del welfare – e nuove sfide, come quella dell’invecchiamento attivo». 

Se in Veneto il sistema pensionistico appare più sostenibile che altrove, con 63 pensionati ogni 100 occupati (dati 2013) rispetto ai 72 della media nazionale e con una spesa pensionistica pari al 14,6% del Pil (in questo il Veneto è terzultimo tra le regioni), tuttavia metà degli assegni pensionistici non arrivano ai mille euro al mese. Né la riforma Fornero, che ha allungato la vita lavorativa spostando in là l’età pensionabile, ha migliorato le cose: «l’assegno pensionistico di domani sarà probabilmente più modesto di quello di oggi a causa del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo – spiega Coronella – e i pensionati di domani potrebbero essere più poveri di tempo da dedicare a loro stessi dopo una vita passata a lavorare e meno sarà il tempo che potranno dedicare al loro essere nonni o alle attività di volontariato, con ripercussioni anche sociali a livello di welfare». Nei prossimi anni, infatti, il calcolo dell’età pensionabile sarà legato all’aumento della speranza di vita alla nascita e se non dovessero intervenire ulteriori riforme, si può stimare che, dopo la pensione, rimarranno 19 anni per le donne e 16 per gli uomini». 

Meglio il Rapporto delinea l’ottimismo economico, sottovalutando però he le aziende che esportano sono solo il 30% del totale che soffre la crisi come non mai. Il Rapporto 2016 pone l’accento sui alcuni dati positivi, che segnalano la ripresa dell’economia veneta dopo anni di crisi. Il Pil è cresciuto dell’1% (un po’ più della media nazionale) e dopo sette anni, finalmente, la disoccupazione giovanile segna una battuta d’arresto fermandosi al 24,7%. «Il 2016 si apre con segnali positivi – rassicura la neo segretaria alla Programmazione – aumentano gli occupati e diminuiscono i disoccupati, anche per effetto del calo della componente femminile, a cui però si associa un aumento delle donne inattive». 

In definitiva il Veneto, come le altre regioni del settentrione, è in piena crisi economica anche se non paragonabile al Centro-Sud Italia. Anche in Veneto è valido il monito che segue. La drammatica fuga dei cervelli italiani all’estero fu esaminata attentamente dal giornalista Orlando Sacchelli sul Giornale nel febbraio 2015, il quale affermò: «Una volta arrivato a Londra ho avuto l’occasione di capire cosa mi piacesse fare nella vita, probabilmente grazie alla sensazione di avere la possibilità di fare quello che vuoi anche se non sei nessuno e non conosci nessuno. In Italia mi sentivo in trappola, senza un futuro e questa sensazione l’ho notata anche in altri appena arrivati qui. Molti pensano di non valere nulla, arrivano qui disperati con ottime lauree in mano e pronti ad accettare di lavare i piatti pur di avere uno stipendio sicuro». Le parole di Marco Bocci, geologo, aiutano a capire lo stato d’animo di molti “cervelli italiani” fuggiti all’estero. E che all’estero trovano la loro strada. Non è una novità assoluta. L’Italia ha sempre esportato in giro per il mondo i migliori talenti. I punti di forza, così ben evidenziati nel Rapporto ottimistico del Veneto 2016, non devono indurci, però, a sottovalutare le non poche difficoltà che anche nel NordEst d’Italia sono diffuse e non decantare solo un paradiso economico-sociale che non c’è o almeno non c’è più.