Buoni lavoro, no alla loro demonizzazione

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Secondo la Cgia di Mestre, lo strumento rappresenta solo lo 0,3% del monte ore complessivo lavorato in Italia. Battaglia di retroguardia dei sindacati 

 

voucher buoni lavoroNel 2015, ultimo dato disponibile, l’incidenza delle ore lavorate con i buoni lavoro (dal francese “voucher”) è stata pari ad appena lo 0,3% del monte ore complessivo nazionale del lavoro dipendente. Una percentuale, quella denunciata dall’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre,  «insignificante che ridimensiona, dal punto di vista statistico, la demonizzazione alimentata in questi mesi  nei confronti dei voucher che da qualche anno disciplinano nel nostro Paese il lavoro occasionale e accessorio».

A fronte di 29 miliardi di ore lavorate nel 2015 da tutti i lavoratori dipendenti presenti in Italia, si stima che 1,3 milioni di persone circa siano state impiegate con i buoni per un numero di buoni lavoro riscossi pari a 88 milioni (a fronte di un monte vendite complessivo di 115 milioni). Rapportando quest’ultimo importo al dato complessivo delle ore lavorate, emerge che l’incidenza dell’utilizzo dei buoni lavoro sul monte ore complessivo a livello nazionale è pari allo 0,31%: sale allo 0,47% nel NordEst, si allinea al dato medio nazionale nel NordOvest, scende allo 0,25% nel Centro per attestarsi allo 0,21% nel Mezzogiorno. 

«I voucher – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – erano stati concepiti dal legislatore per far emergere i piccoli lavori in nero. Obiettivo, purtroppo, fino a ora non raggiunto. Se in alcuni settori è evidente che c’è stato un utilizzo del tutto ingiustificato di questo strumento, paradossalmente il fallimento dei voucher non è ascrivibile al loro abuso, ma, al contrario, per essere stati utilizzati pochissimo in particolar modo al Sud, dove la disoccupazione è molto elevata e l’abusivismo e il sommerso hanno dimensioni molto preoccupanti. Eliminarli, quindi, sarebbe un errore. Vanno, invece, incentivati, limitandone l’utilizzo nei settori ad alto rischio infortunistico: come l’edilizia, i trasporti, il metalmeccanico e il legno». 

I dati regionali dicono che l’incidenza delle ore lavorate con i buoni lavoro sul monte ore complessivo  è nettamente inferiore alla media nazionale in Calabria (0,13%), in Sicilia (0,12%), nel Lazio e in Campania (entrambe allo 0,11%). Regioni, queste ultime, che hanno un tasso di disoccupazione che in alcuni casi supera il 20% e un’incidenza dell’economia sommersa dovuta al lavoro irregolare sul valore aggiunto regionale pari al doppio del dato medio registrato nel Nord. Tra le realtà che ne hanno fatto un maggiore utilizzo, invece, si segnala il Friuli Venezia Giulia (0,60%), le Marche (0,58%), la Sardegna (0,49%), l’Emila Romagna (0,47%), il Veneto (0,46%) e il Trentino Alto Adige (0,37%)

Il 60,7% dei buoni lavoro utilizzati nel 2015 (pari a 53,4 milioni di tagliandi su un totale di 88 milioni di buoni riscossi) sono stati “consumati” dal terziario: in particolare nel settore degli alberghi-ristorazione (26,6% del totale ), commercio (12,8%) servizi alle imprese (7,7%), servizi sociali (4,4%), sanità (3,1%) e trasporti (2,3%). 

Nel settore manifatturiero, invece, l’incidenza sul totale delle ore lavorate ha toccato il 12,4% (pari a 10,8 milioni di buoni riscossi). L’utilizzo più importante è stato registrato nel comparto metalmeccanico (4%). Decisamente più contenuto il ricorso ai buoni lavoro realizzato dalle imprese del settore delle costruzioni (2,4% del totale pari a 2,1 milioni di buoni) e dell’agricoltura (1,8% del totale pari a 1,5 milioni di buoni). Da non trascurare, infine, il ricorso ai buoni da parte di artigiani e commercianti senza dipendenti. Questi lavoratori indipendenti hanno utilizzato 4,8 milioni di buoni lavoro (pari al 5,5% del totale).

Secondo i dati Inps-Veneto Lavoro, i buoni sono stati impiegati per retribuire lavoratori occupati presso imprese private del settore non agricolo in piccole attività occasionali (29%, quasi 400.000 unità). Un altro 23% era costituito da ex occupati (circa 320.000), mentre un 18% (circa 250.000) era composto da persone percettrici di Aspi, MiniAspi o di Cig. Il 14% era costituito da giovani (190.000), l’8%, infine,  in entrambi i casi sia da pensionati (circa 110.000) sia da lavoratori domestici/autonomi (sempre circa 111.000).