La “prima” venerdì 16 dicembre nell’allestimento della Slovene National Opera and Ballet di Maribor
Venerdì 16 dicembre 2016 (ore 20.00; repliche domenica 18 dicembre ore 15.30, martedì 20 dicembre ore 19.00, giovedì 22 dicembre ore 20.00, venerdì 23 dicembre ore 15.30), con Turandot di Giacomo Puccini, la Fondazione Arena di Verona inaugura la Stagione Lirica 2016-’17.
Nell’anniversario dei 90 anni dalla prima rappresentazione, Turandot viene proposta nell’allestimento della Slovene National Opera and Ballet di Maribor con regia, scene e luci di Filippo Tonon e i costumi di Cristina Aceti. Il M° Jader Bignamini guida l’Orchestra e il Coro dell’Arena di Verona preparato dal M° Vito Lombardi.
Nota è la genesi dell’opera commissionata a Puccini nel Natale 1920, in un progetto originario che doveva articolarsi in due atti. Nella stesura, la difficoltà maggiore che Puccini incontra è proprio quella della metamorfosi della protagonista, e sfortunatamente il compositore, anche a causa della lentezza dell’avanzamento dei lavori dei due librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, non riuscirà a vederla terminata. Puccini infatti muore il 29 novembre 1924 a Bruxelles lasciando l’opera compiuta solamente fino alla morte di Liù; l’opera viene quindi terminata da Franco Alfano sulla base degli appunti di Puccini, va in scena per la prima volta al Teatro alla Scala il 25 aprile 1926 diretta da Arturo Toscanini.
Il 18 marzo 1920, in una lettera a Renato Simoni, Puccini scrive “… In fine: una Turandot attraverso il cervello moderno, il tuo, d’Adami e il mio.” Circa un mese dopo, scrive “la nostra Principessa (su cui sempre più si fissa la mia mente) sarà felice di vederci uniti per vivisezionarne l’anima”.
È questo il punto di partenza del regista Filippo Tonon: l’ambientazione ha poca importanza, il pubblico all’apertura del sipario vedrà una mente, sebbene i richiami estetici rispettino il luogo dell’azione reinventando i personaggi in chiave favolistica e di fantasia. Il regista intende ricreare un meccanismo in cui la mente umana si trova “imprigionata” in una serie di situazioni più o meno gestibili: “Siamo all’interno del grande meccanismo della mente umana. Spesso ci chiediamo perché le cose avvengano e perché le vediamo ripetersi continuamente, instancabilmente, pur immaginando di aver risolto o superata una certa situazione. È il processo del meccanismo: la mente umana ha dei meccanismi, da superare, che possono essere anche più forti della mente stessa. La mente addirittura si crea delle situazioni, cambia le condizioni esterne, si dà delle giustificazioni per fare in modo che un determinato atteggiamento sia corretto, non possa che essere così. In questo modo si rimane soffocati all’interno di un circolo vizioso che non può avere fine fino al momento in cui non avviene un fatto, all’interno della nostra vita, che ne pregiudica l’equilibrio, che altera il castello che la mente si è costruita, auto-ingannandosi”.
Ecco quindi una chiave di lettura al personaggio di Turandot; l’evento cardine che dà una svolta alla situazione e interrompe questo meccanismo creato da Turandot e del quale tutti (popolo, ministri, ancelle e Imperatore) sono stati vittime, è rappresentato proprio dalla soluzione degli enigmi da parte di Calaf. Ma la mente di Turandot non si arrende e il meccanismo viene rimesso in moto quando la Principessa scopre il nome del Principe; è solo con il libero arbitrio “che l’essere umano può vincere e superare il meccanismo, dicendo “basta, non più”. E la mente quindi si apre alla luce e al mondo”.
L’allestimento rispecchia quindi questo viaggio nel meccanismo umano e, come ha dichiarato il regista, si traduce in “uno spazio scenico semplice, ma efficace al tempo stesso, con pochissimi elementi che cambiano, che vanno e vengono, proprio per dare quel senso di disagio e di cambiamento continuo di una mente che vuole auto-ingannarsi per poter andare avanti, cambiando le situazioni della realtà a suo piacimento. L’ambientazione è inventata: può essere la Cina ma può anche non esserlo, può essere il tempo delle favole o il futuro. È una storia perenne”.