Crisi: a rischio povertà 9,3 milioni di italiani

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povertà anziana raccoglie scarti ortaggi
Secondo un’indagine condotta da Unimpresa, cresce l’area di disagio sociale. Non solo disoccupazione, diventa più larga la mappa degli italiani che fanno i conti con l’assenza di posti di lavoro

 

povertà anziana raccoglie scarti ortaggiMeno disoccupazione, ma più lavoratori precari. Ora sono oltre 9,3 milioni gli italiani non ce la fanno e sono a rischio povertà: è sempre più estesa l’area di disagio sociale che non accenna a restringersi. Da giugno 2015 a giugno 2016 altre 63.000 persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9.308.000 soggetti in difficoltà.

Crescono in particolare gli occupati-precari: in un anno, dunque, è aumentato il lavoro non stabile per 200.000 soggetti che vanno ad allargare la fascia di italiani a rischio. Ai “semplici” disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un’enorme “area di disagio”: ai quasi 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (737.000 persone) sia quelli a orario pieno (1,73 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (823.000), i collaboratori (327.000) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,71 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,34 milioni di unità. Il totale del’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,30 milioni di persone, in aumento rispetto a un anno fa di 63.000 unità (+0,68%).

Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Una situazione di fatto aggravata dalle agevolazioni offerte dal “Jobs Act” che hanno visto favorire forme di lavoro non stabili. Di qui l’estendersi del bacino dei “deboli”. Il dato sui 9,30 milioni di persone è relativo al secondo semestre del 2015 e complessivamente risulta in aumento dello 0,68% rispetto al secondo trimestre del 2015, quando l’asticella si era fermata a 9,24 milioni di unità: in un anno quindi 63mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale. 

Nel secondo trimestre del 2015 i disoccupati erano in totale 3,10 milioni: 1,59 milioni di ex occupati, 632.000 ex inattivi e 875.000 in cerca di prima occupazione. A giugno 2016 i disoccupati risultano in calo di 137.000 unità (-4,42%). In calo di 70.000 unità gli ex occupati, scendono di 28.000 unità gli ex inattivi; calano coloro che sono in cerca di prima occupazione, diminuiti di 39.000 unità.

In netto aumento il dato degli occupati in difficoltà: erano 6,14 milioni a giugno 2015 e sono risultati 6,34 milioni a giugno scorso. In totale 200.000 soggetti in più (+3,26%). Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana, nonostante alcuni segnali di miglioramento: soprattutto le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno – favorite dalle misure inserite soprattutto nel “Jobs Act” – pagano il conto della recessione, complice anche uno spostamento delle persone dalla fascia degli occupati deboli a quella dei disoccupati. I contratti a temine part time sono calati di 3.000 unità da 740.000 a 737.000 (-0,41%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 75.000 unità da 1,66 milioni a 1,73 milioni (+4,51%), i contratti a tempo indeterminato part time sono cresciuti del 4,94% da 2,59 milioni a 2,71 milioni (+128.000). Scendono i contratti di collaborazione (-22.000 unità) da 349.000 a 327.000 (-6,3%) e risultano in lieve aumenti gli autonomi part time (+2,75%) da 801.000 a 823.000 (+22mila).