Olio di palma, triplicato l’import italiano negli ultimi 10 anni

0
469
olio palma con frutti
Secondo Coldiretti per la prima volta calano i consumi dopo il parere Efsa sulla sua salubrità. Ma Ferrero e il viceministro all’agricoltura Olivero ne difendono l’uso nei prodotti alimentari

 

olio palma con fruttiSono più che triplicate (+212%) negli ultimi dieci anni le importazioni in Italia di olio di palma che nel 2015 hanno raggiunto il quantitativo record di oltre 1,6 miliardi di chili. E’ quanto emerge da un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Istat dai quali si evidenzia tuttavia per la prima volta un calo del 10% nei primi sette mesi del 2016 rispetto all’anno precedente conseguente al parere dell’Autorità Alimentare Europea (EFSA) nel quale si segnalano possibili effetti tossico o cancerogeni di alcuni contaminanti di processo che si sviluppano durante il processo produttivo nell’olio di palma e in altri oli vegetali, margarine e alimenti trasformati.

L’inversione di tendenza è dovuta al numero crescente di industrie alimentari che quest’anno – sottolinea Coldiretti – hanno fatto giustamente la scelta prudenziale di togliere l’olio di palma nei propri prodotti. Un’opportunità che – precisa Coldiretti – può essere colta con la valorizzazione delle coltivazioni nazionali grazie alle profonde innovazioni che sono stati introdotte e alla disponibilità delle imprese agricole nazionali.

Alle preoccupazioni per l’impatto sulla salute a causa dell’elevato contenuto di acidi grassi saturi si aggiungono infatti quelle dal punto di vista ambientale perché l’enorme sviluppo del mercato dell’olio di palma sta portando al disboscamento di vaste foreste senza dimenticare l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione e naturalmente le condizioni di sfruttamento del lavoro delle popolazioni locali private di qualsiasi diritto.

Su pressioni di Coldiretti, per consentire scelte di acquisto consapevoli da parte dei consumatori, il 13 dicembre 2014 è stato introdotto nella legislazione comunitaria l’obbligo di specificare in etichetta la natura dell’olio eventualmente utilizzato nei prodotti alimentari confezionati. «Non è più possibile pertanto – precisa Coldiretti – utilizzare la dicitura generica olio vegetale, giocando sul fatto che nella nostra tradizione quando si pensa all’olio si pensa a quello di oliva, ma si deve indicare con precisione di quale olio si tratta. Per i prodotti venduti sfusi al forno o in panetteria deve essere sempre esposto e a disposizione dei consumatori, l’elenco degli ingredienti utilizzati».

Se Coldiretti picchia sulla valorizzazione di grassi vegetali nazionali, dal fronte della Nutella di Ferrero si leva la voce a difesa delle caratteristiche dell’olio di palma, da sempre storico ingrediente della crema alla nocciola più diffusa al mondo. Secondo un convegno svolto a Milano, ad avere problemi non è l’olio di palma in sé, ma il processo di lavorazione se se viene sottoposto a interesterificazione degli acidi grassi può provocare problemi. Secondo Alessandro D’Este, amministratore delegato della Ferrero Commerciale Italia, «l’olio di palme è perfetto così com’è e gli antiossidanti naturali che contiene impediscono alla Nuletta di avariarsi e di mantenere quella morbidezza e neutralità di sapore che non nasconde nocciole e cacao».

Per Chiara Campione di Greenpeace lo standard di certificazione Rspo promuove l’olio di palma sostenibile con il Wwf. Ma Greenpeace sostiene lo standard Poig, attento non solamente sulla qualità della produzione ma anche sull’impatto ambientale. Ricorda Campione di Greenpeace che «non si devono estendere i palmeti da olio incendiando le torbiere e la foresta pluviale». E la Ferrero viene premiata da Greenpeace perché certifica con entrambi i rigorosi standard Rspo e Poig l’olio usato nei suoi prodotti. A difesa dell’olio di palma anche il viceministro all’Agricoltura Andrea Olivero: «io lo chiamo enfaticamente terrorismo della disinformazione alimentare: in questi anni molte, troppe volte abbiamo assistito a operazioni di disinformazione che fanno leva sull’ignoranza e hanno dietro interessi economici ben precisi, volti alla sostituzione di prodotti e a creare turbative sul mercato».