Non solo i 30 miliardi di euro previsi per sterilizzare le clausole di salvaguardia, lo scivolo pensionistico, il taglio dell’Ires e i nuovi contratti dei dipendenti pubblici: la pubblica amministrazione ha anche debiti commerciali per 65 miliardi di euro
Sarà un autunno caldo, anzi rovente sul fronte finanziario per il Governo Renzi. All’orizzonte non c’è solo la necessità di raccattare circa 30 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’Iva e delle accise che fiaccherebbero ancora di più una ripresa estremamente fiacca se non inesistente, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, il taglio dell’Ires, lo scivolo pensionistico. Ci sarebbero (d’obbligo l’uso del condizionale vista l’incertezza totale sul tema) da onorare anche i debiti contratti dalla pubblica amministrazione nel suo complesso verso i fornitori pari, secondo la stima formulata dall’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre, a 65 miliardi di euro.
«Anche se a nostro avviso il dato è sottodimensionato – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – dall’ultima stima elaborata dalla Banca d’Italia emerge che i mancati pagamenti della Pa ammontano a 65 miliardi di euro: 34 a causa dei ritardi di pagamento e gli altri 31 sono di natura fisiologica. Ovvero, legati ai tempi di pagamento contrattuali che, secondo la Direttiva europea entrata in vigore nel 2013, non possono superare i 30-60 giorni dall’emissione della fattura».
Il problema – secondo la CGIA – sta proprio in questo punto. «Secondo “Intrum Justitia”, che monitora annualmente i ritardi di pagamento di tutte le Pa d’Europa, l’Italia rimane fanalino di coda nella graduatoria dei 27 paesi Ue – prosegue Zabeo – con un tempo medio di pagamento registrato quest’anno di 131 giorni. Un arco temporale più che doppio rispetto al limite fissato da Bruxelles. In altre parole, a differenza di quanto sostiene la Banca d’Italia, noi riteniamo che anche una buona parte di questi 31 miliardi di euro siano ascrivibili alla cattiva abitudine della Pa di pagare con grave ritardo i propri fornitori».
A confermare le difficoltà in cui versano le imprese che lavorano per il comparto pubblico va ricordato che la Commissione Ue non ha ancora “ritirato” la procedura d’infrazione avviata nel giugno del 2014 nei confronti dell’Italia a seguito della non corretta applicazione della direttiva Ue. La pubblica amministrazione italica è stata accusata di saldare i conti con grave ritardo e non come previsto dalle regole Ue entro i 30-60 giorni dall’emissione della fattura. Oltre a non pagare entro i tempi stabiliti dalla direttiva Ue, Bruxelles ha comminato all’Italia l’infrazione anche perché molti enti utilizzavano dei contratti dove venivano applicate delle cifre dovute agli interessi significativamente inferiori al limite imposto dalla direttiva; cioè il tasso di riferimento Bce aumentato dell’8%. In altri casi ancora, c’era il malcostume, spesso ricorrente ancora adesso, di posticipare i report d’avanzamento dei lavori e di conseguenza ritardare i pagamenti. Anche se gli ultimi 3 esecutivi che si sono succeduti in questi ultimi anni abbiano messo a disposizione più di 56 miliardi di euro per abbassare l’ammontare del debito commerciale, lo smaltimento dei debiti del comparto pubblico rimane ancora un problema irrisolto.
Visto che la risorse disponibili per l’aggiustamento della finanza 2016 e per programmare quella 2017 sono molto limitate, il rischio è che i fornitori della pubblica amministrazione rimangano ancora una volta con il cerino acceso in mano. Sospetto fatto proprio dagli artigiani mestrini: «non vorremmo – conclude Zabeo – che per rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici, per ritoccare le pensioni e per far quadrare i conti pubblici dopo la frenata del Pil si decidesse, tra le altre cose, di ritardare ulteriormente i pagamenti della Pa. Una prassi, quest’ultima, che fino a qualche anno fa ha consentito a molti esecutivi di recuperare ingenti somme di liquidità, gettando però sul lastrico moltissime imprese».
Già una volta Renzi ha peccato nel rispetto delle solenni promesse fatte dinanzi alle telecamere di Vespa di saldare i debiti entro la ricorrenza di San Matteo, pena una peregrinazione a piedi (mai fatta) a piedi al santuario di Monte Senario. Il giovane premier ha dato ampia prova di fare promesse da marinaio e il rischio è che le PMI italiane rimangano ancora a bocca asciutta sull’altare di qualche voto di scambio per ingraziarsi masse elettorali importanti in vita del voto referendario. Se così fosse, il fossato di credibilità del premier Renzi e del suo codazzo di ministri impreparati e di ministre cosce lunghe diventerà incolmabile.