Goletta Verde, Friuli Venezia Giulia pecora nera per la balneabilità delle acque

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La regione stanzia 95 milioni per la depurazione. Ancora troppe le spiagge dove si fa il bagno tra colibatteri e rifiuti di vario genere provenienti da scarichi fognari non depurati

 

scarico a mare fognaUn punto inquinato ogni 54 km di costa, ancora una volta sotto accusa la mancata depurazione. Dei 265 punti monitorati, uno ogni 28 km di costa, dal laboratorio mobile di Goletta Verde di Legambiente, il 52% è risultato inquinato o fortemente inquinato. L’88% di queste criticità è in corrispondenza di foci di fiumi, fossi, canali o scarichi presenti lungo la costa. Più della metà di questi sono in prossimità di spiagge e stabilimenti e quindi frequentati da bagnanti.

Questi i risultati conclusivi di Goletta Verde 2016 di Legambiente presentati da Serena Carpentieri e Giorgio Zampetti, rispettivamente responsabile Campagne e responsabile Scientifico di Legambiente e da Andrea Di Stefano di Novamont, che hanno illustrato il quadro emerso dalla campagna di monitoraggio scientifico, durante i due mesi di viaggio di Goletta Verde partita dalla Liguria e conclusasi in Friuli Venezia Giulia.

I punti di prelievo sono stati selezionati grazie al lavoro dei circoli di Legambiente e alle segnalazioni dei cittadini giunte attraverso il servizio SOS Goletta. Il monitoraggio di Goletta Verde ha l’obiettivo di rilevare e denunciare la presenza di scarichi non depurati che continuano a riversarsi in mare e non vuole sostituirsi a quello delle autorità preposte ai controlli sulla balneazione. Proprio per questo, i prelievi sono concentrati nei punti critici: foci di piccoli e grandi corsi d’acqua, di fossi, canali e scarichi, che costituiscono i principali veicoli dell’inquinamento da batteri fecali in mare, dove sussiste il “maggior rischio” di contaminazione. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli) e vengono considerati come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto del ministero della Salute del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori.

«Purtroppo i risultati deludenti in prossimità di foci, fossi e canali non ci sorprendono – commenta Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – dal momento che il problema riguarda non solo le aree costiere ma interessa gran parte del territorio nazionale. Nonostante siano passati 11 anni dalle scadenze previste dalla direttiva europea sulla depurazione, l’Italia è ancora in fortissimo ritardo. Circa il 25% della popolazione non è coperta da un adeguato servizio di depurazione e un terzo degli agglomerati urbani a livello nazionale è coinvolto da provvedimenti della Commissione europea. Sull’Italia pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione. Oltre i costi ambientali, ci sono inoltre quelli economici a carico della collettività: a partire dal 2016, il Paese dovrà pagare 480 milioni di euro all’anno, fino al completamento degli interventi di adeguamento». Soldi letteralmente buttati nel cesso.

Si distingue positivamente la Sardegna, con poche criticità riscontrate solo in corrispondenza di foci di corsi d’acqua o canali. Buona anche la situazione della Puglia, in cui si è registrato un miglioramento rispetto allo scorso anno. Mentre in alto Adriatico la situazione migliore si registra in Veneto, mentre cariche batteriche ben al di sopra dei limiti consentiti dalla legge per tre degli otto punti campionati dai tecnici di Goletta Verde lungo le coste del Friuli Venezia Giulia. Nel mirino ancora una volta foci di fiumi e scarichi: per il terzo anno consecutivo ricevono un giudizio di “fortemente inquinato” le acque prelevate allo sbocco del canale via Battisti a Muggia, mentre vengono giudicate “inquinate” quelle alla foce del fiume Isonzo a Grado e alla foce del fiume Stella a Precenicco. 

Le situazioni più critiche si trovano in Calabria, interessata nelle ultime settimane anche da diverse proteste da parte delle comunità locali per “mare sporco”, da divieti di balneazione e da interventi delle forze dell’ordine per irregolarità nel servizio di depurazione, nelle Marche e in Abruzzo, regioni penalizzate anche dall’elevato numero di corsi d’acqua, canali e fossi che sfociano in mare. 

Se nell’edizione 2016 oltre la metà dei punti sono risultati inquinati, 1 su 5, soffre di “inquinamento cronico”, in quanto dal 2010 ad oggi è risultato fuori i limiti di legge per almeno 5 volte. Di questi il 94% corrisponde a foci di fiumi, torrenti, scarichi e canali. Tutte le regioni costiere hanno almeno un punto “malato cronico”, ma in alcune la situazione è particolarmente rilevante, con almeno 5 punti campionati che risultano inquinati ormai da anni (Marche, Liguria, Lazio, Campania e Calabria). «Gli scarichi non depurati sono i peggiori nemici del turismo – continua Zampetti -. Il nostro monitoraggio ha l’obiettivo di non fermarsi alla sola denuncia, ma soprattutto di avviare un approfondimento e confronto per fermare l’inquinamento da mancata depurazione che si riversa in mare. Per alcune situazioni critiche da diversi anni, grazie alla stretta collaborazione con le forze dell’ordine e le amministrazioni locali, si è arrivati a individuare le cause e risolvere il problema. Ora c’è la legge sugli ecoreati, che prevede anche il reato di inquinamento ambientale, valido strumento contro chi continua a scaricare illegalmente nei fiumi e nel mare».

Tra le foci di fiumi, i fossi e i canali monitorati da Legambiente quest’estate, 1 su 3 non viene campionato dalle autorità competenti perché si tratta di luoghi non adibiti alla balneazione stando ai profili di costa redatti a inizio stagione da regioni e comuni. Spesso, sono frequentati dai bagnanti perché mancano i cartelli di divieto di balneazione, a cui dovrebbero provvedere i comuni: assenti nell’74% dei punti visitati dai tecnici di Goletta Verde. Ancora peggiore il dato sulla presenza dei cartelli informativi in spiaggia, che hanno la funzione di divulgare al pubblico la classe di qualità del mare (in base alla media dei prelievi degli ultimi quattro anni), i dati delle ultime analisi e le eventuali criticità della spiaggia stessa. Secondo la normativa, i comuni costieri sono obbligati ad apporli ormai da due anni, ma i tecnici di Goletta Verde li hanno avvistati solo nel 5% dei casi. 

«Durante l’estate abbiamo ricevuto centinaia di segnalazioni di mare sporco da parte dei bagnanti grazie al servizio Sos Goletta – racconta Serena Carpentieri, responsabile Campagne di Legambiente -. Le persone sono spesso disorientate, non sanno a chi rivolgersi per denunciare casi di inquinamento, dove consultare i dati ufficiali, come capire se stanno facendo il bagno in acque sicure e controllate. E’ indispensabile che il ministero della Salute istituisca un numero verde per raccogliere le segnalazioni di cittadini e turisti e avvii, in collaborazione con le Regioni e gli enti locali, una chiara campagna informativa. Infine, non è più tollerabile l’assenza di cartelli di divieto di balneazione nelle aree dove non si può fare il bagno e i cartelli informativi sulla qualità delle acque. L’accesso all’informazione è un diritto di cittadini e turisti e un dovere per le autorità competenti e per tutti i comuni costieri, cosi come previsto dalla normativa sulla balneazione».

Va evidenziato, inoltre, l’inquinamento da rifiuti, che arrivano dai fiumi, dal mare e da terra e che accomunano tutti i 265 luoghi esaminati da Goletta Verde. Solo nel 14% di questi non è stata rinvenuta spazzatura, che molto spesso, invece, si accumula in vere e proprie discariche in mezzo alla sabbia. A farla da padrona è la plastica ma non mancano i rifiuti che derivano dall’inefficiente depurazione; le foci dei corsi d’acqua e i canali portano con sé non solo batteri ma anche rifiuti solidi buttati nel wc e che per mancata depurazione o scarichi illegali arrivano sulle spiagge. Cotton fioc, assorbenti igienici, blister, addirittura deodoranti da wc che sono stati ritrovati nei pressi dei punti di campionamento nel 18% dei casi. E non è un caso che nell’83% di questi luoghi siano state riscontrate cariche batteriche oltre la norma, derivanti dalla stessa cattiva depurazione. 

La denuncia del permanere di uno stato di grave inquinamento del mare friulano ha sollecitato l’assessore regionale all’ambiente Sara Vito ad intervenire: «sulla depurazione delle acque l’amministrazione regionale non è mai stata così fortemente determinata a fronteggiare le procedure di infrazione comunitarie. Per le 3 controversie del territorio, la Regione si ha messo a disposizione oltre 95 milioni di euro. L’investimento maggiore, di 52,5 milioni euro, riguarda la realizzazione del nuovo depuratore di Servola, a Trieste, grazie all’Accordo di programma tra Regione, ministero dello Sviluppo economico e ministero dell’Ambiente. L’entrata in funzione del nuovo impianto è prevista per inizio 2017 e – come evidenzia Vito – permetterà di superare la procedura di infrazione comunitaria più datata che riguarda il Friuli Venezia Giulia». 

Le altre due vicende riguardano il mancato trattamento supplementare dei reflui che scaricano nell’Adriatico Nord. In due diversi filoni sono coinvolti gli agglomerati di oltre 10.000 e 2.000 abitanti. «Per quanto riguarda la prima questione – sottolinea l’assessore – è stato firmato l’anno scorso un Accordo di programma per il potenziamento dell’impianto di depurazione di Staranzano, che servirà la provincia di Gorizia, per un costo complessivo di oltre 18 milioni di euro». Nel secondo caso, invece, la Regione già nel 2014 ha sottoscritto un accordo per potenziare la capacità di collettamento e di depurazione dei reflui urbani in diversi centri del Friuli Venezia Giulia, come Cervignano, Rivignano, Pordenone, Porcia, Cordenons, Roveredo in Piano e Grado. L’ammontare di questo investimento è di quasi 25,5 milioni.