Associazioni agricole: troppo basso il prezzo del grano a rischio il comparto

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grano mais in mano
Incontro a Borsa Merci Bologna: «non reggiamo quotazioni così basse»

 

grano mais in manoQuest’anno gli agricoltori di grano dell’Emilia-Romagna registrano una perdita dai 100 ai 300 euro ad ettaro. E’ la denuncia lanciata da Confagricoltura, Cia e Copagri regionale in un incontro alla Borsa Merci di Bologna: le associazioni spiegano che è «a rischio un comparto strategico dell’economia regionale, che vale 260 milioni su una Plv (produzione lorda vendibile) del 2015 di 4,2 miliardi».

In Emilia-Romagna infatti si concentra sia il 30% della produzione italiana di grano tenero su una superficie di oltre 140.000 ettari, sia la più vasta estensione di terreni coltivati a duro del Nord Italia (65.000 ettari). «I conti non tornano, la situazione è pesante – dice Gianni Tosi, presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna -. Il sistema agricolo non può reggere quotazioni così basse con costi di produzione che non sono quelli di trenta anni fa». Oggi il grano duro è quotato a quintale tra i 19,7 euro e i 20,2 euro, e per un agricoltore della regione un prezzo che eviterebbe una perdita è tra i 24 e i 25; stesso discorso vale per il grano tenero, quotato a 14 euro, mentre i coltivatori lo vorrebbero a 20-21 euro. 

Le cause di questa crisi, che si è fatta sentire soprattutto nell’ultimo anno, nascono dai mercati internazionali e da una quotazione dei prezzi influenzata dalle produzioni e dalle importazioni di grano di qualità inferiore. Per questo motivo le associazioni chiedono alle istituzioni di lavorare insieme ad un piano cerealicolo nazionale che preveda investimenti nell’ammodernamento delle strutture di stoccaggio per qualificare il grano “Made in Italy”; l’accertamento delle giacenze; il monitoraggio delle importazioni e dei flussi di cereali nell’Ue; e la verifica delle superfici coltivate e della produzione potenziale. 

Secondo Cristiano Fini, vicepresidente di Cia Emilia-Romagna, «siamo in un momento drammatico. Lanciamo una provocazione, quella dello sciopero della semina, perché non ha senso lavorare per rimetterci, meglio fare dell’altro. Chiediamo un’inversione di tendenza in tempi stretti».