Moraglia: «episodio che intristisce e preoccupa che non deve essere sottovalutato»
Un marocchino, in forte stato di alterazione mentale e senza fissa dimora, è stato denunciato per aver gettato a terra un crocifisso del Settecento, danneggiandolo gravemente, all’interno della chiesa di San Geremia a Venezia.
L’uomo, che ha detto di essere musulmano, è entrato nell’ edificio sacro, dove sono custodite le spoglie di Santa Lucia, ha oltrepassato il recinto di corda dove si trovava il crocefisso, alto alcuni metri. Quindi ha cercato di toglierlo dal contenitore sostenendo, attraverso frasi sconnesse senza pare alcun riferimento di carattere religioso, che c’era qualcosa che non andava nell’opera. A nulla è valso l’intervento del sacrestano che ha tentato di difendere il Cristo ligneo che è finito sul pavimento dopo un parapiglia. La caduta ha provocato la rottura di un braccio. Lo straniero, come riferiscono i quotidiani locali, è stato immobilizzato da tre turisti inglesi che l’hanno trattenuto fino all’arrivo dei carabinieri.
«E’ un episodio dai contorni ancora oscuri ma che intristisce e preoccupa e, comunque, chiede di non esser sottovalutato per il significato che il gesto obiettivamente porta in sé; esso contiene un messaggio che va certamente oltre la persona e le motivazioni di chi l’ha compiuto e che potrebbe esser ripetuto con motivazioni simili o diverse – ha commentato a proposito il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia -. Viviamo un tempo carico di tensioni in cui i messaggi violenti abbondano e ci segnano, al di là di quanto siamo consapevoli, e contribuiscono a creare un clima. L’episodio accaduto nella chiesa veneziana dei Ss. Geremia e Lucia appartiene alla cronaca quotidiana ma non deve essere considerato irrilevante perché produce diffidenze, sospetti, paure. Il valore fondamentale della libertà religiosa – contro ogni forma di discriminazione e razzismo – non viene qui messo in questione ed anzi ci vede ancor più impegnati in un atteggiamento di reale e saggia accoglienza, attraverso un’integrazione cordiale e sincera, nei confronti di chi chiede aiuto perché si trova nel bisogno. Nello stesso tempo, si chiede rispetto e garanzie di legalità per coloro che accolgono».
Per Moraglia «al di là del caso dell’altro giorno, dinanzi a gesti del genere e che rendono più difficile percorrere comuni strade di convivenza, è opportuno che sia tutta la società a prenderne le distanze, a cominciare dalle comunità religiose. L’intera società civile, nelle sue varie componenti, deve impegnarsi a promuovere la cultura dell’accoglienza, ricordando che ogni Paese ospitante ha una sua storia, una sua cultura e anche una sua fede. E il Crocifisso – che per i cristiani riveste il significato religioso più alto – è Colui che ha generato questa storia e questa cultura basate sull’accoglienza, sul perdono e sulla riconciliazione. Senza tali valori una convivenza umana, degna di tale nome, non sarebbe possibile. Sì, vogliamo una società a misura d’uomo in cui siano integrati – come ci ricorda Papa Francesco – gli uomini e le donne ferite da una vita difficile e drammatica, come certamente deve essere stata quella dell’amico magrebino entrato nella chiesa dei Ss. Geremia e Lucia. A lui vorremmo dire, con semplicità e fraternità, che compiendo quel gesto nei confronti del Crocifisso – Colui che il cristiano ha di più caro – si è scagliato anche contro quei valori che proprio il Crocifisso – al di là del suo significato religioso – ha originato nella nostra cultura e tiene oggi desti nella nostra società: l’accoglienza, il perdono, la riconciliazione, la misericordia».