L’Italia che non va: a giugno l’inflazione accelera il calo dei prezzi su base annua

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matteo renzi manina
Venezia, Trento e Bolzano i capoluoghi più cari. Intanto, con questi conti difficilmente l’Italia potrà rispettare gli impegni con l’Europa. Brunetta: «Renzi non dia ad altri colpe esclusivamente sue»

 

matteo renzi maninaContinuano a segnare brutto i dati che pervengono dall’economia nazionale: secondo i dati elaborati dall’Istat, a giugno l’inflazione fa registrare un leggero aumento, salvo amplificare la deflazione (dallo -0,3% di maggio allo -0,4% di giugno). L’accentuazione della flessione su base annua dell’indice generale, si verifica in un quadro di sostanziale stabilità degli andamenti tendenziali dei prezzi delle diverse tipologie di prodotto.

Fanno eccezione i prezzi degli “Altri beni”, in rallentamento (+0,5% da +0,7% del mese precedente), quelli dei “Beni energetici non regolamentati”, la cui flessione si riduce, (-8,1%, da -10%) e i prezzi dei “Tabacchi”, in accelerazione (+2,9% da +2%). La persistenza delle dinamiche deflazionistiche è in gran parte riconducibile all’ampio calo dei prezzi dei “Beni energetici” (-7,5% rispetto a giugno 2015), sebbene meno intenso di quello registrato a maggio. Al netto di questi beni l’inflazione, anche se in lieve ridimensionamento, resta positiva e pari a +0,4% (era +0,5% a maggio). Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici l’inflazione di fondo, rallenta e si porta a +0,5% (da +0,6% di maggio). L’inflazione acquisita per il 2016 è pari a -0,2% (era -0,3% a maggio). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,2% sia su base mensile sia su base annua (a maggio la variazione era nulla). 

I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,4% in termini congiunturali e diminuiscono dello 0,2% in termini tendenziali (-0,6% il mese precedente). L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dello 0,2% su base mensile e diminuisce dello 0,2% su base annua (la stima preliminare era -0,3%) meno ampia di un decimo di punto percentuale rispetto al calo registrato a maggio (-0,3%). Nel secondo trimestre del 2016, la riduzione dei prezzi al consumo (IPCA) è più sensibile per le famiglie con minore capacità di spesa (-0,7%), rispetto a quelle con maggiore capacità di spesa (-0,1%), a causa del peso più ampio che per le prime hanno i Beni energetici. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, aumenta dello 0,2% su base mensile e diminuisce dello 0,3% nei confronti di giugno 2015.

Allarmate le reazioni delle associazioni consumeristiche e dei produttori agricoli. «Siamo in presenza di una emergenza prezzi nel nostro Paese, con i listini che per il quinto mese consecutivo registrano segno negativo su base annua – denuncia il presidente Codacons, Carlo Rienzi -. Il grave perdurare della deflazione è dovuto principalmente alla mancata ripresa dei consumi da parte delle famiglie. Il 2016 doveva essere l’anno della ripartenza della spesa, ma la domanda interna appare lenta e ben al di sotto delle aspettative. Di fronte al perdurare di tale situazione che danneggia da mesi l’intera economia italiana, il Governo avrebbe dovuto correre ai ripari, adottando misure correttive – conclude Rienzi -. Al contrario l’esecutivo Renzi resta a guardare mentre i prezzi scendono, le famiglie non comprano e il commercio soffre una crisi nerissima».

L’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica dei capoluoghi di regione dove, grazie alla deflazione, si risparmia di più. Il record spetta a Milano, dove l’abbassamento dei prezzi dell’1% consente ad una famiglia di 4 persone di risparmiare 490 euro su base annua in termini di riduzione del costo della vita. Al secondo posto Torino, con una deflazione dello 0,9% ed una minor spesa di 400 euro. Al terzo posto Ancona, dove una tradizionale famiglia di 4 componenti risparmierà 328 euro (-0,8%). In testa alla classifica delle città più care d’Italia, Venezia, dove l’inflazione dello 0,6% si traduce in un aggravio di spesa, per una famiglia di 4 persone, pari a 269 euro su base annua. Seguono, sempre in termini di aumento del costo della vita, Trento, dove l’inflazione dello 0,5% si traduce in un aumento del costo della vita pari a 232 euro e Bolzano, scalzata dal suo primato storico di città più cara d’Italia (inflazione +0,4%, + 223 euro). Tra la città più cara (Venezia) e quella meno cara (Milano) si determina una differenza annua, in termini di spesa, pari a 759 euro (490 + 269).

La deflazione ha effetto anche sulla produzione primaria, con il crollo dei prezzi nelle campagne italiane, dal -26% per il grano duro al fino al -16% per il latte su valori che non coprono i costi di produzione e spingono alla chiusura delle aziende agricole e delle stalle. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a giugno, sulla base delle rilevazioni Ismea alla produzione agricola. 

Se nel carrello della spesa per i consumatori i prezzi degli alimentari e delle bevande per i consumatori sono addirittura aumentati dello 0,2%, nelle campagne – sottolinea Coldiretti – la situazione è drammatica con il crollo delle quotazioni su livelli insostenibili. «Le speculazioni sul commercio delle materie prime agricole – precisa Coldiretti – hanno provocato il crollo dei prezzi del grano su livelli di 30 anni fa e mettono a rischio il futuro della coltivazione in Italia. Ma a pesare sono anche gli effetti dell’embargo russo che ha azzerato completamente le esportazioni di ortofrutta, formaggi, carni e salumi “Made in Italy” e che ha anche provocato una devastante turbativa sui mercati agricoli europei che ha messo in crisi decine di migliaia di aziende agricole. Una situazione che – sostiene Coldiretti – ha aggravato le difficoltà delle stalle italiane che stanno affrontando una crisi senza precedenti a causa del crollo dei prezzi che non copre più neanche i costi per l’alimentazione del bestiame. A rischio è il futuro di prodotti simbolo del “Made in Italy” ma anche un sistema produttivo sostenibile che – conclude Coldiretti – garantisce reddito e lavoro a centinaia di migliaia di famiglie e difende il territorio nazionale dal degrado e dalla desertificazione».

L’andamento deflattivo dell’economia nazionale ha effetti negativi anche sui conti dello stato italiano. Per l’economista veneziano e capogruppo dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, «dopo l’Istat una settimana fa, anche le stime del Fmi certificano quanto andiamo dicendo già da diverso tempo, vale a dire che la crescita nel nostro Paese va male e rallenta. E il motivo non è solo la “Brexit”, né la crisi del settore bancario, bensì la cattiva politica economica del governo. Ne deriva che nel Def di aprile, i numeri sono tutti sballati. In quella occasione, infatti, la crescita reale del Pil nel 2016 è stata stimata all’1,2% quando, già prima della “Brexit”, tutte le previsioni sul nostro Paese dicevano che sarebbe arrivata a stento all’1%. Allo stesso modo, è stato inserito un tasso di inflazione dell’1%, quando al massimo sarà poco più di zero». Per Brunetta «siamo dianzi ad un magheggio del governo Renzi per avere una crescita nominale del 2,2%, quando al massimo sarà dell’1%-1,2%, cioè della metà. Tutto questo senza considerare l’effetto della vittoria del “leave” nella consultazione popolare inglese. La situazione, quindi, può solo peggiorare, e la crescita nominale a fine anno finirà per essere meno della metà rispetto a quella prevista dal governo ad aprile». «Follie. Significa che i conti sono tutti da rifare. E il rispetto dei parametri europei – conclude Brunetta – è ormai operazione assolutamente impossibile. Ma conosciamo il premier e preveniamo i suoi commenti. Renzi non usi la “Brexit” per scaricare colpe che sono solo sue».