Due interessanti mostre sull’uso della luce e del colore nei musei di Rovereto ed Arco
A distanza i poche ore una dall’altra, in trentino sono state inaugurate due interessanti mostre con identico filo conduttore: il Divisionismo. Gli spazi del Mart di Rovereto ospitano la mostra realizzata in coproduzione con la Fundación Mapfre di Madrid “I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo” a cura di Beatrice Avanzi, Daniela Ferrari e Fernando Mazzocca. Palazzo dei Panni ad Arco nei rinnovati spazi della Galleria Civica G. Segantini è allestita la mostra “Divisionismi dopo il Divisionismo. La pittura divisa da Segantini a Bonazza curata da Alessandra Tidda del Mart.
La mostra al Mart di Rovereto arriva dopo il grande successo di Madrid dal 17 febbraio al 5 giugno, frutto della coproduzione per offrire al pubblico internazionale la grande arte italiana. La Fondazione Mapfre è un’istituzione filantropica senza scopo di lucro, fondata nel 1975 con l’obiettivo di contribuire al benessere e alla crescita dei cittadini e della società.
Da oltre vent’anni, l’area cultura realizza e produce progetti e mostre di respiro internazionale
Partendo dai capolavori delle Collezioni, a cui si affiancano prestiti eccellenti provenienti dalle maggiori raccolte europee, il museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto inaugura, ancora una volta, una mostra che raccoglie ed espone un patrimonio storico-artistico di inestimabile valore culturale.
La mostra illustra come, sul finire del XIX secolo, partendo dallo studio della luce e del colore, gli artisti italiani intraprendono un percorso pittorico che cambia radicalmente la storia dell’arte. L’esposizione presenta oltre 80 opere in sei sezioni cronologiche e tematiche: Il Divisionismo tra vero e simbolo; La luce della natura; La declinazione realista. L’impegno sociale; La declinazione simbolista. Una “pittura di idee”; Verso il futurismo; La pittura futurista.
La mostra narra le origini e lo sviluppo del Divisionismo in un dialogo esplicito con il Futurismo. Suddiviso in tappe, il percorso illustra in modo completo e graduale il procedere del linguaggio divisionista. La luminosità della pittura calda ed energica di divisionisti e futuristi travolge il visitatore e lo guida attraverso atmosfere cromatiche e capolavori assoluti. Il progetto racconta l’arte dei maestri italiani che tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX introducono il rivoluzionario cambiamento di mentalità su cui poggiano le basi le Avanguardie del ’900, in particolare il Futurismo. Nel giro di pochi decenni, il Divisionismo evolve naturalmente nel Futurismo, definendo la nascita della pittura moderna in Italia.
A Rovereto sono visibili alcune tra le maggiori e più note opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Francesco Cangiullo, Carlo Carrà, Carlo Fornara, Vittore Grubicy de Dragon, Baldassare Longoni, Emilio Longoni, Cesare Maggi, Giuseppe Mentessi, Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, Luigi Russolo, Giovanni Segantini, Gino Severini, Giovanni Sottocornola.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, il Divisionismo svolge un ruolo fondamentale nel rinnovamento artistico italiano, trovando il suo ideale proseguo nell’avanguardia Futurista. È in questo confronto tra due generazioni che si definisce la nascita della pittura moderna in Italia. Ciò che lega i due momenti artistici è la ricerca sulla luce e sul colore, filo conduttore tra due pietre miliari della nostra storia dell’arte. Inoltre, come tutte le grandi rivoluzioni, i due movimenti destano inizialmente scalpore e le loro idee si inseriscono in un fervido clima culturale che osserva e interpreta i cambiamenti del proprio tempo.
Il Divisionismo si afferma nel 1891 alla Triennale di Brera, con la prima uscita “pubblica” di un gruppo di giovani pittori: Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, Emilio Longoni. Pur nelle differenze tra un pittore e l’altro, che in mostra sono sottolineate e poste a confronto, alcune questioni, largamente condivise, emergono con forza.
Basati sulle ricerche scientifiche sulla percezione e poco rispettosi delle regole della pittura accademica, i lavori dei Divisionismi vengono accolti da un vivace e articolato dibattito che non si esaurisce semplicemente nella diatriba stilistica, ma si ramifica nella trattazione di nuove urgenti questioni che, dalla fine del XIX secolo in poi, entrano prepotentemente nelle rappresentazioni pittoriche. I nuovi artisti sconvolgono e dividono la critica e il pubblico borghese, non solo per l’uso della tecnica divisa, ma anche per le inedite interpretazioni dei temi cari alla tradizione. A partire da una rivoluzione visiva derivante dalle scoperte sulla scomposizione del colore e incentrata sul potere espressivo della luce, cambiano anche i soggetti dipinti, tesi verso una modernità nelle questioni raffigurate che spaziano dai contenuti sociali – in un’Italia da poco unita ancora in cerca di una propria identità culturale – a soggetti più lirici legati alla tendenza internazionale del Simbolismo. Come ricorda Fernando Mazzoca nel suo saggio in catalogo, il Divisionismo fu il primo linguaggio pittorico dell’Italia nascente.
L’interesse per il mondo operaio, per esempio, o la predominanza di opere dedicate a tematiche politiche e sociali, evidenzia un cambiamento di gusto e un’attenzione alle condizioni delle classi più disagiate e alle disparità sociali senza precedenti che permette alla pittura di assumere una dimensione collettiva e politica lontana dal pietismo della pittura di genere dei decenni precedenti.
Al centro dell’indagine della pittura divisionista, però, rimane la rappresentazione della luce, in particolare nell’ambiente naturale. Compreso il meccanismo percettivo, i divisionisti piegano la scienza agli scopi dell’arte. L’empatia con il paesaggio si rinnova in una dimensione simbolica e ideale. Liberatasi della tradizione paesaggistica, la pittura divisa trova nell’ambiente una dimensione di unione tra gli esseri umani e la natura e un tema privilegiato di indagine luministica.
Con il movimento francese, i divisionisti italiani condividono l’utilizzo dei soli colori puri, non mescolati a impasto sulla tavolozza, ma applicati direttamente sulla tela a piccoli tocchi, che l’occhio dell’osservatore ricompone. Gli italiani però interpretano la tecnica divisa come un mezzo e non un fine, sottoposto e adattato al contenuto e al messaggio dell’opera, in cui la ricerca di una maggiore luminosità affida alla luce un valore simbolico. Il Divisionismo si configura, quindi, non come una filiazione del movimento francese, ma come una tendenza autonoma, che condivide con il Pointillisme alcuni presupposti tecnici e teorici.
Dalla forza di questa nuova poetica e sulle sue basi tecniche scaturisce, all’inizio del ’900, il Futurismo. Il maggiore movimento d’avanguardia italiano si sviluppa intorno alle idee del poeta Filippo Tommaso Marinetti che nel febbraio 1909 irrompe sulla scena artistica con il Manifesto Futurista, pubblicato sulla prima pagina de “Le Figaro”. All’appello aderiscono Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini che nell’aprile dell’anno successivo firmano il Manifesto tecnico della pittura futurista, in cui proclamano che “non può sussistere pittura senza Divisionismo”, indicando nella comune formazione divisionista il substrato di partenza del movimento. La scomposizione della luce associata a quella della forma e a una vocazione alla rappresentazione del movimento e della velocità della vita moderna proiettano l’arte italiana nel cuore del coevo dibattito artistico europeo. La città industriale in piena crescita, le periferie urbane in espansione, il dinamismo e il progresso sono i temi che caratterizzano la nuova pulsante ricerca.
Sempre di Divisionismo si occupa anche la mostra allestita ad Arco, ma focalizzzata sull’opera dei pittori trentini Segantini e Bonazza. Questa nuova esposizione, curata da Alessandra Tidda del Mart, coordinatrice scientifica del progetto dedicato all’artista nato ad Arco nel 1858. A partire da Segantini, la mostra, che presenta una selezione di opere ad olio e su carta provenienti dalle collezioni del Mart e del MAG così come da raccolte pubbliche e private, intende indagare i nuovi rapporti compositivi e stilistici introdotti a suo tempo dalla rivoluzione divisionista.
Segantini, maestro del Divisionismo italiano, introduce ad un percorso ricco di variazioni sia nei temi che nelle modalità espressive nell’ambito del Divisionismo storico, che a sua volta affida alla luce un valore nuovo e assolutamente attualizzante, il quale venne posto al centro dell’indagine di molti altri artisti. La mostra ad Arco pone all’attenzione del pubblico alcuni esempi di pittura divisa realizzati subito dopo l’esperienza divisionista e parzialmente compresi dalla stessa, ma anche opere meno note che curiosamente continuano a rivolgersi a questa modalità negli anni ’30 e ’40. La mostra presenta opere realizzate dai maestri dell’arte italiana del ’900 come Felice Casorati e quelle di figure ancora poco note nel panorama italiano, ad esempio il triestino Vito Timmel o il goriziano Antonio Camaur, difficilmente collocabili in un movimento o in una stagione artistica definita, ma anch’essi estensioni di una pennellata divisa.
Il progetto espositivo si è avvalso della collaborazione di alcune prestigiose istituzioni museali italiane come il Museo Revoltella di Trieste e i Musei Civici di Udine, e di prestiti provenienti da collezioni private, fra cui quella generosissima della famiglia Casorati, oltre che di opere normalmente conservate presso il Mart di Rovereto, che condivide con il MAG questo progetto all’interno di un protocollo di collaborazione, già avviato da qualche anno nella valorizzazione di Arco come luogo segantiniano (Segantini e Arco).
La finalità della mostra Divisionismi dopo il Divisionismo è quella di tentare di selezionare una sorta di campionatura di opere accomunate dall’uso del colore diviso, anche in anni in cui il Divisionismo era stato dimenticato e superato da altre esperienze.
Se la mostra di Rovereto indaga gli sviluppi del processo scompositivo del colore, avviato dal Divisionismo e divenuto elemento fondante dell’estetica futurista, proprio nel suo valore di successiva scomposizione delle forme, la piccola rassegna di Arco intende indicare un’altra possibilità evolutiva, quella più prossima alle rarefatte atmosfere delle opere del Novecento italiano, dove la pittura divisa rende silenti i ritratti e solidifica plasticamente la forma, anziché dinamizzarla e scomporla.
La ragione di questa diversità negli esiti formali della stagione divisionista va ricercata, a mio avviso, principalmente in due fattori: l’eterogeneità costitutiva del Divisionismo che non assunse mai la compattezza teorica di movimento programmatico – non fu un’estetica ma un modo di dipingere – e i diversi momenti di diffusione e ricezione dello stesso, prima e dopo il primo conflitto mondiale, o forse meglio dire prima o dopo l’avvento delle avanguardie artistiche.